24 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito
Cambiamenti climatici

Usare la polvere di Luna per combattere i cambiamenti climatici: la proposta degli scienziati

Ricercatori americani hanno proposto di usare la polvere lunare per schermare la luce del Sole e combattere il riscaldamento globale. Come funziona il progetto di geoingegneria solare.
A cura di Andrea Centini
24 CONDIVISIONI
Credit: Andrea Centini
Credit: Andrea Centini
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

Per combattere il riscaldamento globale un gruppo di ricerca ha avanzato una curiosa quanto suggestiva soluzione: utilizzare la polvere della Luna per schermare / deviare la luce solare e determinare un leggero raffreddamento della Terra, contrastando così gli effetti dei cambiamenti climatici. Almeno in parte. Si tratta di una delle tante proposte di geoingegneria solare pubblicate negli ultimi anni dagli scienziati, una sorta di “ultima spiaggia” qualora i necessari tagli alle emissioni di anidride carbonica (CO2) e altri gas a effetto serra non venissero fatti. Gli autori di questi studi, del resto, sottolineano sempre che tali progetti non devono essere considerati come un'alternativa all'abbandono dei combustibili fossili, ma una soluzione estrema, al massimo complementare, per attenuare le catastrofiche conseguenze del riscaldamento globale.

A proporre l'uso della polvere lunare per schermare i raggi solari e contrastare i cambiamenti climatici è stato un team di ricerca statunitense guidato da scienziati dell'Università dello Utah, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Osservatorio Astrofisico Smithsonian di Cambridge. Ma in che modo verrebbe usata la regolite della Luna? I ricercatori, coordinati dal professor Benjamin C. Bromley, docente di astrofisica teorica presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia di Salt Lake City, hanno indicato che dovrebbero essere estratte milioni di tonnellate di polvere sul satellite della Terra, setacciate per ottenere i granuli delle dimensioni corrette e sparate attraverso un apposito dispositivo balistico nello spazio, come ad esempio un cannone elettromagnetico.

Gli studiosi hanno infatti determinato “che i granelli naturali di polvere lunare hanno le dimensioni e la composizione giuste per disperdere in modo efficiente la luce solare lontano dalla Terra”, come affermato dal professor Bromley in un'intervista al Guardian. Non tutta la regolite lunare presenta queste proprietà, per questo motivo deve essere setacciata prima di essere sparata nello spazio. Il punto preciso dove inviarla è il punto di Lagrange L1, che si trova a circa 1 / 100esimo della distanza dal sole (che è di circa 150 milioni di chilometri). I punti di Lagrange – o punti di oscillazione – sono peculiari zone dello spazio in cui un terzo oggetto di massa più piccola si tiene in equilibrio gravitazionale tra due corpi celesti più grandi, come la Terra e la Luna (o la Terra e il Sole). In altri termini, mantiene sempre la stessa posizione. Il rivoluzionario Telescopio Spaziale James Webb è stato inviato proprio in uno di questi punti (L2 Sole – Terra). Gli scienziati ritengono che il punto L1 possa mantenere stabili anche milioni di tonnellate di polvere lunare e schermare efficacemente la Terra.

Secondo i calcoli degli esperti l'attenuazione della radiazione solare che si otterrebbe con questo "scudo di regolite" sarebbe dell'1,8 percento, pari a 6 giorni interi di Sole completamente oscurato nell'arco di un anno. Ciò permetterebbe di ridurre di un poco la “febbre” della Terra, ma come indicato non sarebbe affatto una soluzione alternativa al taglio delle emissioni, che resta assolutamente fondamentale. Inoltre, come spiegato dagli scienziati, si tratterebbe comunque di una missione molto costosa e complessa, per la necessità di inviare sulla Luna i macchinari per estrarre la regolite e il cannone per spararla nello spazio. Molto probabilmente servirebbe anche una stazione spaziale lunare per monitorare lo schermo di polvere.

Le idee di geoingegneria (solare e non) come questa vengono sempre più proposte anche alla luce della riduzione dei costi delle missioni spaziali. Recentemente un team di ricerca guidato da scienziati del Pacific Northwest National Laboratory di Richland ha proposto di fertilizzare gli oceani con nanoparticelle a base di ferro per favorire la crescita del fitoplancton, ovvero il plancton vegetale in grado di catturare la CO2 dall'atmosfera e ridurre l'impatto del riscaldamento globale. I dettagli della nuova ricerca “Dust as a solar shield” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica specializzata PlOS Climate.

24 CONDIVISIONI
525 contenuti su questa storia
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views