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Scienziati italiani scoprono un ormone che può attivare la riparazione del cuore dopo un infarto

Un team di ricerca guidato da scienziati dell’Università di Bologna ha scoperto che il blocco di un ormone può indurre la riparazione del cuore dopo un infarto.
A cura di Andrea Centini
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A sinistra il team del dottor Gabriele D'Uva. Credit: Università di Bologna
A sinistra il team del dottor Gabriele D'Uva. Credit: Università di Bologna

Un gruppo di ricerca internazionale guidato da scienziati italiani dell'Università di Bologna “Alma Mater Studiorum” ha scoperto un ormone che può portare alla riparazione del cuore dopo un danno, come quello indotto da un infarto del miocardio. Si tratta di una scoperta estremamente significativa, tenendo presente che il tessuto cardiaco, a differenza di altri tessuti del nostro organismo, una volta danneggiato non possiede la capacità di autoripararsi. Questo avviene perché, in parole molto semplici, le cellule cardiache presenti nel cuore di un adulto sono praticamente le stesse che aveva poco dopo la nascita; i cardiomiociti, infatti, perdono la capacità di replicarsi dopo il parto e aumentano solo in dimensioni con lo sviluppo. In presenza di un danno non vengono così rimpiazzati da nuove cellule, ma sostituiti da tessuto cicatriziale che “fissa” la lesione rendendola permanente, con tutte le conseguenze del caso, come l'insufficienza cardiaca. Ora, grazie allo scoperta di questo ormone, c'è la speranza concreta di arrivare a trattamenti in grado di indurre la riparazione del cuore. Sarebbe una vera rivoluzione per la Medicina, considerando che le patologie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte – assieme al cancro – nei Paesi industrializzati.

Come specificato, a scoprire l'ormone che può portare alla riparazione del cuore è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Dipartimento di Medicina Sperimentale, Diagnostica e Specialistica dell'Università di Bologna, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie e del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell'ateneo emiliano. Tra gli altri istituti coinvolti il National Institute of Molecular Genetics (INGM) ‘Romeo ed Enrica Invernizzi’ di Milano, il Dipartimento di Biologia Cellulare Molecolare del Weizmann Institute of Science (Israele) e la Scuola di Medicina Cardiovascolare del King's College di Londra (Regno Unito). Un team copioso composto da molti giovani e brillanti scienziati, come mostra la bellissima foto condivisa dall'Università di Bologna. Ma cosa ha scoperto esattamente il gruppo guidato dal dottor Gabriele D'Uva?

Gli scienziati si sono concentrati sui glucocorticoidi, ormoni steroidei coinvolti in vari meccanismi biologici, come “sviluppo, metabolismo, mantenimento dell'omeostasi e nella gestione dello stress”. Nello studio viene mostrato che l'incapacità di autoriparazione del muscolo cardiaco dopo un infarto è legata “almeno in parte” proprio all'azione di questi ormoni, “che dopo la nascita spingerebbero le cellule muscolari del cuore a maturare, bloccandone al tempo stesso la proliferazione”. Nei mammiferi, scrivono gli autori della ricerca, “l'attivazione fisiologica del recettore dei glucocorticoidi (GR) da parte dei glucocorticoidi (GC) promuove la maturazione dei cardiomiociti durante la tarda gestazione”, tuttavia “l'effetto sulla crescita cardiaca postnatale e sulla plasticità rigenerativa non è chiaro”. Attraverso esperimenti su topi geneticamente modificati con delezione del recettore dei glucocorticoidi è stato osservato un ritardo nell'uscita “dal ciclo cellulare dei cardiomiociti postnatali, la crescita ipertrofica e la maturazione citoarchitettonica”. In parole semplici, sono stati osservati segnali promettenti che mostrano come il blocco dei glucocorticoidi può portare alla rigenerazione del tessuto cardiaco. Ciò è stato dimostrato in topi con infarto del miocardio. Sia la delezione del recettore che la sua inibizione farmacologica transitoria, infatti, in topi giovani e adulti con infarto del miocardio hanno “facilitato la sopravvivenza dei cardiomiociti, il rientro e la divisione del ciclo cellulare”; ciò ha determinato la rigenerazione del muscolo cardiaco e una ridotta formazione di cicatrici. “Pertanto – concludono gli esperti nell'abstract dello studio – GR limita la rigenerazione del cuore e può rappresentare un obiettivo terapeutico”.

“I risultati che abbiamo ottenuto mostrano che i glucocorticoidi rappresentano un importante freno della capacità rigenerativa cardiaca: la loro inibizione ha infatti mostrato esiti promettenti nella riparazione del tessuto cardiaco danneggiato”, ha dichiarato il dottor D’Uva in un comunicato stampa. “Si tratta di una scoperta molto rilevante, che in futuro potrebbe portare a trattamenti efficaci per migliorare le condizioni del cuore dei pazienti colpiti da infarto”, ha aggiunto lo scienziato. Non a caso, nei test sui topi “la delezione del recettore per i glucocorticoidi si è dimostrata capace di aumentare la capacità delle cellule del muscolo cardiaco di replicarsi a seguito di infarto miocardico, promuovendo nel giro di poche settimane un processo di rigenerazione del cuore”, specifica il dottor D'Uva. La speranza è che si possa arrivare a un farmaco del quale beneficerebbero decine di milioni di persone in tutto il mondo. I dettagli della ricerca “Glucocorticoid receptor antagonization propels endogenous cardiomyocyte proliferation and cardiac regeneration” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica specializzata Nature Cardiovascular Research.

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