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Covid 19

Pillola antivirale contro il Covid, attenzione all’uso nei pazienti trapiantati

L’invito alla cautela è stato lanciato da un team di esperti americano che ha documentato la tossicità di un noto immunosoppressore (tacrolimus) che previene il rigetto in seguito a un trapianto quando assunto in combinazione con l’antivirale di Pfizer.
A cura di Valeria Aiello
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Il paxlovid, l’antivirale di Pfizer per la cura del Covid negli adulti che sono a maggior rischio di sviluppare forme gravi della malattia, può rivelarsi un’arma a doppio taglio nei pazienti che assumono altri medicinali. A sollecitare l’attenzione sull’uso dell’antivirale è un team di esperti dell’Università del Texas che, in un articolo pubblicato su Open Forum Infectious Disease, ha documentato la tossicità dell’interazione tra paxlovid e tacrolimus, un immunosoppressore utilizzato per prevenire il rigetto in seguito a un trapianto. L’assunzione di quest’ultimo farmaco, in particolare, è controindicata in combinazione con il paxlovid che, come noto, agisce riducendo la capacità del coronavirus di replicarsi nell’organismo attraverso due principi attivi: il nirmatrelvir (PF-07321332), un inibitore della proteasi principale di Sars-Cov-2, e il ritonavir, un inibitore di un enzima del fegato (CYP3A) che agisce come potenziatore (booster) degli inibitori delle proteasi. Essendo un amplificatore farmacocinetico, il ritonavir può però aumentare le concentrazioni plasmatiche di altri farmaci, come il tacrolimus, causando tossicità. Ed è per questo che il tacrolimus, così come altri medicinali, è già stati incluso nell’elenco dei farmaci controindicati in caso di terapia con paxlovid.

I primi due casi documentati di tale interazione farmacologica – un uomo di 40 anni che aveva ricevuto un trapianto di rene e pancreas e una donna di 58 anni con un trapianto di polmone bilaterale – sono stati entrambi ricoverati in ospedale per la tossicità dovuta all’interazione del tacrolimus con il paxlovid – ipotensione, aumento della frequenza respiratoria, forti dolori addominali, nausea, vomito – e sono stati trattati con successo con rifamicina, un antibiotico orale che, spiegano gli autori dei case report, è stato impiegato come antidoto per invertire la tossicità del tacrolimus. Il team, in particolare, ha precisato che la rifampicina è stata scelta rispetto alla fenitoina o al fenobarbital in considerazione della sua breve emivita, di circa 3-5 ore,  che “ha consentito un ripristino più rapido della concentrazione terapeutica di tacrolimus dopo l’interruzione della rifampicina”.

Sulla base della loro esperienza, gli esperti raccomandano particolare cautela nell’uso di paxlovid in combinazione con tacrolimus, suggerendo di sospendere il farmaco durante il ciclo di 5 giorni di paxlovid (o anche da 1 a 2 giorni prima di iniziare il trattamento con l’antivirale nei pazienti ad alto rischio) ed eseguire un attento monitoraggio del farmaco dopo la reintroduzione dell’immunosoppressore. Gli esperti hanno anche chiesto un’azione da parte delle autorità, sottolineando come un’indicazione posta direttamente sulla confezione del medicinale (e non solo esplicitata nel foglietto illustrativo del paxlovid) possa ridurre il rischio di reazioni avverse gravi dovute all’interazione dell’antivirale con altri farmaci, in particolare per i pazienti trapiantati che spesso sono proprio i primi ai quali viene prescritto plaxovid contro il Covid.

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