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Perché le balene possono aiutarci a combattere i cambiamenti climatici

Prima che le sterminassimo durante la baleneria, le popolazioni di grandi cetacei rimuovevano significative quantità di carbonio dall’atmosfera. Ora è fondamentale continuare a proteggerle.
A cura di Andrea Centini
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Una balenottera comune. Credit: Andrea Centini
Una balenottera comune. Credit: Andrea Centini

Nei mari e negli oceani del nostro pianeta abbiamo degli “insospettabili” alleati contro i cambiamenti climatici: le balene. Questi meravigliosi e giganteschi mammiferi marini, i più grandi animali mai vissuti sulla Terra – le balenottere azzurre superano anche gli estinti dinosauri sauropodi –, con i loro abbondanti escrementi sono infatti in grado di fertilizzare l'acqua e donare ricco e diffuso nutrimento al plancton, in particolar modo al fitoplancton (le microalghe). Esso è il principale sequestratore di anidride carbonica (CO2) negli strati superficiali dei grandi bacini marini, oltre che produttore dell'ossigeno che respiriamo. Le balene, inoltre, con la loro mole accumulano ingenti quantità di carbonio, giocando un ruolo significativo nel ciclo biologico di questo elemento. Purtroppo però durante l'epoca della baleneria abbiamo sterminato e portato sull'orlo dell'estinzione i grandi cetacei misticeti, che oggi sono molto meno numerosi di quanti dovrebbero essercene. Aiutare le popolazioni di balene e balenottere a prosperare, proteggendole, secondo gli scienziati ci aiuterà a combattere gli effetti del riscaldamento globale.

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Nel 2019 uno studio commissionato dal Fondo Monetario Internazionale aveva calcolato che l'ecosistema in cui vivono le due più grandi balenottere, l'azzurra (Balaenoptera musculus) e la comune (Balaenoptera physalus) che arrivano rispettivamente a 33 e 24 metri di lunghezza massima, è in grado di catturare ogni anno circa il 40 percento dell'anidride carbonica immessa in atmosfera, circa 40 miliardi di tonnellate di CO2. È una quantità enorme, paragonabile a quella che riescono ad assorbire poco meno di 2mila miliardi di alberi. Ora una nuova indagine ha effettuato nuovi calcoli per provare a comprendere come questi splendidi animali possano aiutarci nel contrasto alla crisi climatica. A condurlo è stato un team di ricerca statunitense guidato da scienziati dell'Università dell'Alaska Sudorientale, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Hopkins Marine Station dell'Università di Stanford, del Dipartimento di Ecologia e Biologia Evoluzionistica dell'Università della California Santa Cruz, dell'organizzazione Climate Central e di altri istituti. I ricercatori coordinati dalla biologa marina Heidi Pearson, docente presso il Dipartimento di Scienze Naturali dell'ateneo dell'Alaska, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver quantificato le concentrazioni di carbonio sequestrate dai cetacei in relazione al cambiamento delle popolazioni. In pratica, al numero delle balene presenti nei mari.

Salto megattera. Credit: Sapphire Coastal Adventures / Facebook
Salto megattera. Credit: Sapphire Coastal Adventures / Facebook

“Balenottere e capodogli, attraverso le loro enormi dimensioni e l'ampia distribuzione, influenzano l'ecosistema e la dinamica del carbonio. Le balene immagazzinano direttamente il carbonio nella loro biomassa e contribuiscono all'esportazione di carbonio attraverso l'affondamento delle carcasse. Gli escrementi delle balene possono stimolare la crescita del fitoplancton e catturare la CO2 atmosferica; tali percorsi indiretti rappresentano il maggior potenziale per il sequestro del carbonio da parte delle balene, ma sono poco conosciuti”, hanno scritto la professoressa Pearson e colleghi nell'abstract dello studio. I ricercatori hanno determinato che la capacità attuale di catturare il carbonio da parte delle balene è enormemente diminuita a causa del fatto che, durante la baleneria circa, l'80 percento dell'immensa biomassa dei grandi cetacei è stata annientata. Per le balenottere azzurre, ad esempio, si calcola che le popolazioni dell'emisfero australe riuscissero a trasportare 140 kilotonnellate di carbonio, mentre oggi il valore stimato si attesta sulle 0,51 kilotonnellate. I capodogli dell'oceano antartico, d'altro canto, prima della baleneria riuscivano a rimuovere 2 milioni di tonnellate di CO2 all'anno, ora secondo una stima arrivano a 200mila tonnellate.

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Alcune balene possono vivere anche 200 anni (come la balena della Groenlandia), compiere grandi migrazioni e aiutare le popolazioni di krill a crescere e prosperare. Sembra paradossale, ma dove ci sono più balene c'è più krill, i crostacei di cui questi animali si nutrono. La ragione risiede proprio nel fatto che le balene fertilizzano il mare con composti ricchi di azoto e ferro (che non si trovano sulla superficie) e favoriscono le esplosioni di plancton, che a loro volta migliorano la presenza di krill. Quando muoiono, inoltre, le loro grandi carcasse nutrono moltissimi altri animali sul fondale marino contribuendo al ciclo del carbonio. Si è calcolato che una balena, nell'arco della propria lunga vita, catturi oltre 30 tonnellate di carbonio; quando muore le toglie dall'atmosfera e le trascina sul fondale. Un, per fare un confronto, assorbe circa 21 chilogrammi di carbonio all'anno. È molto complicato determinare esattamente il contributo dei grandi cetacei alla riduzione del carbonio, ma ciò che è certo è che in passato, prima che le sterminassimo, esso era sensibilmente superiore. Oggi proteggere questi animali è una delle migliori opzioni che abbiamo per difenderci dal riscaldamento globale con “metodi naturali”, senza passare per la fertilizzazione artificiale degli oceani come ipotizzato da alcuni ricercatori. I dettagli della ricerca “Whales in the carbon cycle: can recovery remove carbon dioxide?” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Trends in Ecology & Evolution.

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