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Perché indicare le calorie sul menù può non essere d’aiuto contro l’obesità

Secondo gli esperti, fornire informazioni sulle calorie non risolverebbe il problema perché l’obesità non si contrasta semplicemente mangiando di meno.
A cura di Valeria Aiello
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Un Big Mac ha 508 calorie. E una grande grigliata mista con patatine ne ha circa 2.000. Ma sapere quante calorie ci sono in ogni pasto potrebbe non essere d’aiuto contro l’obesità. Lo sottolineano alcuni esperti che, con l’introduzione della nuova normativa che nel Regno Unito obbligherà tutti i bar e ristoranti gestiti da aziende con più di 250 dipendenti a indicare le calorie dei diversi piatti presenti nel menù, sostengono che la nuova misura non incoraggerà le persone verso scelte più sane e consapevoli, né spingerà i ristoratori a offrire porzioni più equilibrate.

In altre parole, indicare semplicemente le calorie non sarebbe di aiuto contro l’obesità perché il problema dei chili di troppo è molto più complesso e difficile da affrontare, come tra l’altro dimostrato in Paesi come gli Stati Uniti, dove la misura è stata introdotta nel 2018 e uno studio condotto lo scorso anno su 59 catene di ristoranti ha rilevato che non ci sono state modifiche al conteggio calorico medio nei menù, sebbene i piatti introdotti dopo il 2018 avessero in media un contenuto calorico inferiore.

Secondo Stuart Flint, professore associato di psicologia dell’obesità presso l'Università di Leeds e direttore di Obesity UK, l’indicazione delle calorie “potrebbe non essere d’aiuto” nel risolvere il problema. “Vogliamo dire alle persone di guardare solo alle calorie?” dice l’esperto in un’intervista al Guardian. “Una barretta di cioccolato ha meno calorie di un pasto equilibrato, ma vogliamo che le persone mangino una barretta di cioccolato e saltino il pasto? Non si tratta sempre di ridurre la quantità di cibo che mangiamo”.

Flint ha affermato che aspetti come le pubblicità dei fast food, la mancanza di spazi all’aperto per l’esercizio e lo stigma legato all’obesità sono tutti ugualmente importanti, paragonando la nuova misura sulle calorie alla tassa sulle bibite zuccherate, che colpisce le bevande analcoliche con più zucchero. Quest’ultima è stata introdotta nel 2018 nel Regno Unito, nella speranza che i clienti ne riducessero il consumo e, d’altra parte, che i produttori abbassassero le quantità di zucchero presenti nelle stesse. L’applicazione della norma ha determinato una riduzione media di circa 30 grammi di zucchero per famiglia a settimana, pari a sei cucchiaini, secondo le stime del Center for Diet and Activity Research di Cambridge. “Ma chi consuma meno zucchero? – ha affermato Flint – . Non ci sono dati che dicano che i bambini con obesità, o anche le persone che convivono con l’obesità, consumino meno zucchero”.

La realtà – incalza l’esperto – è che nel Regno Unito abbiamo avuto 14 politiche negli ultimi 20 anni relative all'obesità, che non è diminuita, ma è aumentata. E il motivo è che la maggior parte di queste è focalizzata sul cambiamento individuale. L’obesità è molto complessa. Se fosse semplice contrastarla mangiando di meno o di più, le persone non aumenterebbero di peso nella misura in cui abbiamo in questo momento e le persone sarebbero in grado di perdere peso più facilmente”.

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