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Ora sappiamo come potrebbe essere nata la vita sulla Terra

Le responsabili della nostra esistenza sarebbero le strutture proteiche in grado di legare i metalli, alla base delle reazioni di ossidoriduzione che sono fondamentali per alcune funzioni della vita.
A cura di Valeria Aiello
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Quella su come abbia avuto inizio la vita sul nostro pianeta è una domanda alla quale non abbiamo ancora trovato una risposta esaustiva. Ma una nuova ricerca sembra aver identificato le strutture proteiche che potrebbero aver dato origine a questa forma speciale e molto complessa di materia. Per cominciare, il team dietro allo studio, coordinato da Yama Bromberg e Ariel Aptekman del Dipartimento di Biochimica e Microbiologia della Rutgers University a New Brunswick, nel New Jersey, ha deciso di partire dal presupposto che la vita, come oggi la conosciamo, richieda energia. Nella zuppa primordiale della Terra antica, tale energia sarebbe dovuta alla radiazione del Sole, oppure al calore della Terra stessa, emessa da gole idrotermali nel fondo dei vecchi mari.

A livello molecolare, l’utilizzo di energia significa trasferimento di elettroni, un processo chimico fondamentale che coinvolge un elettrone che si sposta da un atomo (o una molecola) all’altro. Il trasferimento di elettroni è al centro delle reazioni di ossidoriduzione (note anche come reazioni redox) che sono essenziali per alcune delle funzioni di base della vita. E poiché i metalli sono i migliori conduttori di elettroni e alcune molecole complesse, chiamate proteine, ​​sono ciò che guida la maggior parte dei processi biologici, il team di ricerca ha deciso di combinare le due cose e studiare le proteine che legano i metalli.

Per l’analisi, pubblicata sulla rivista Science Advance, i ricercatori hanno utilizzato un approccio metodico e computazionale per confrontare le diverse proteine ​​che legano i metalli, osservando che tutte avevano delle caratteristiche comuni, indipendentemente dalla loro funzionalità, del metallo che legano e dall’organismo coinvolto. “Abbiamo scoperto che i nuclei proteici che legano i metalli sono effettivamente simili anche se le proteine ​​stesse possono non esserlo – ha affermato la microbiologa Bromberg – . Abbiamo anche osservato che questi nuclei sono spesso costituiti da strutture ripetute, un po’ come blocchi di Lego. Curiosamente, questi blocchi sono stati individuati anche in altre regioni proteiche, non solo nei nuclei, e in molte altre proteine che non sono state prese in considerazione nel nostro studio”.

Secondo i ricercatori, queste caratteristiche condivise potrebbero essere state presenti e funzionanti nelle prime proteine, cambiando nel tempo per diventare le proteine ​​​​che vediamo oggi, pur mantenendo alcune strutture comuni. La tesi che sostengono che quella secondo cui i metalli solubili che si trovavano nell’Oceano Archeano che ricopriva la Terra migliaia di milioni di anni fa avrebbero reso possibile il rimescolamento di elettroni necessario al trasferimento di energia e, a sua volta, alla vita biologia. “La nostra osservazione suggerisce che i riarrangiamenti di questi piccoli elementi costitutivi possano aver avuto un singolo o un piccolo numero di antenati comuni e dato origine all’intera gamma di proteine ​​e alle loro funzioni attualmente disponibili. Cioè, alla vita come la conosciamo” ha aggiunto Bromberg.

In particolare, il team è stato in grado di identificare le evoluzioni del ripiegamento proteico – la forma adottata dalle proteine ​​man mano che diventano biologicamente attive – che potrebbero aver originato le attuali proteine, quasi come se avessero determinato un albero genealogico molecolare. Lo studio conclude inoltre che i peptidi biologicamente funzionali, ovvero le porzioni proteiche più piccole delle proteine, potrebbero aver preceduto le prime proteine ​​attive che risalgono a 3,8 miliardi di anni fa.

Queste conoscenze si aggiungono a quanto finora scoperto sulla nascita della vita sulla Terra. “Abbiamo pochissime informazioni sull’origine della vita sul nostro Pianeta e questo lavoro fornisce una spiegazione precedentemente non disponibile che, tra l’altro, potrebbe anche potenzialmente contribuire alla nostra ricerca della vita su altri pianeti e corpi planetari” ha concluso Bromberg .

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