L’umanità a un passo da un’inevitabile “correzione della popolazione”: cos’è e cosa ci aspetta
In un articolo revisionato fra pari uno scienziato ha sottolineato che l'umanità è destinata a un'inevitabile “correzione della popolazione”, un processo destinato a frenare la moltiplicazione e la diffusione esponenziali della nostra specie sul pianeta, che è finito – in termini di spazio e disponibilità – e non ha risorse inesauribili per soddisfare le avide e insaziabili esigenze dell'essere umano moderno. Del resto lo scorso 2 agosto abbiamo raggiunto il cosiddetto Earth Overshoot Day, il giorno del sovrasfruttamento, una data che ci ricorda l'esaurimento (in soli sette mesi) di tutte le risorse e i servizi rinnovabili generosamente concessi dalla Terra nel corso di un anno.
Dall'inizio del mese, in pratica, siamo entrati in una fase di deficit ecologico, che si traduce in maggiore inquinamento e depauperamento dei beni. È un concetto piuttosto semplice da capire: non potremo andare avanti così per sempre senza far collassare completamente i pilastri che sostengono le nostre società e la civiltà umana, a maggior ragione se continueremo a consumare e a depredare le risorse come fanno i grandi Paesi industrializzati. Basti sapere che se tutti consumassero come l'Italia avremmo bisogno di 2,7 terre per non andare in deficit ecologico. E non siamo i peggiori in classifica, naturalmente. Per Paesi come gli Stati Uniti, infatti, l'overshoot day nazionale è caduto il 13 marzo, oltre due mesi prima del nostro. Più ci si avvicina all'inizio dell'anno, più significa che l'approccio consumistico non è sostenibile e che non potrà essere sostenuto a lungo per garantire un futuro di benessere.
Con il suo affascinante articolo, il professor William E. Rees della Facoltà di Scienze Applicate presso l'Università della British Columbia (Canada) ci dice che abbiamo perso i contatti con le nostre origini e spezzato i legami con la natura. Ciò nonostante la nostra specie è ancora sottoposta alle dinamiche della selezione naturale e ne pagherà le conseguenze, anche se non dobbiamo più "lottare a mani nude" nella giungla per conquistare un pasto. Perlomeno questo vale per la stragrande maggioranza dei figli della Rivoluzione Industriale. Lo scienziato spiega che l'Homo sapiens (la nostra specie) “si è evoluto per riprodursi in modo esponenziale, espandersi geograficamente e consumare tutte le risorse disponibili”. “Per la maggior parte della storia evolutiva dell'umanità – prosegue il professor Rees – tali tendenze espansionistiche sono state contrastate da feedback negativi. Tuttavia, la rivoluzione scientifica e l'uso dei combustibili fossili hanno ridotto molte forme di feedback negativo, consentendoci di realizzare il nostro pieno potenziale di crescita esponenziale”. In parole semplici, i progressi tecnologici e scientifici, coadiuvati dall'uso intensivo dei combustibili fossili, hanno permesso di affrancarci dalle redini che impedivano di trasformarci nella legione avida e invasiva che si è diffusa capillarmente sul pianeta.
Che sia stata proprio la Rivoluzione Industriale a renderci benestanti e al contempo ciechi sulle conseguenze future lo dimostrano i numeri della crescita esplosiva della popolazione mondiale. Nel 1800 eravamo "appena" 1 miliardo, ma nel giro di un secolo siamo diventati 1,6 miliardi, aumentando di 600 milioni di unità in un lasso di tempo decisamente minore rispetto ai precedenti trend evolutivi. Ciò che è successo nel secolo successivo è ancora più impressionante: il 15 novembre del 2022 siamo ufficialmente diventati 8 miliardi, con il passaggio dai 7 miliardi in soli 12 anni. È una crescita spaventosa, parallela a quella dell'incremento delle emissioni di CO2 (anidride carbonica) e altri gas a effetto serra derivati dalle attività umane, responsabili della gravissima crisi climatica che stiamo vivendo. Siamo già a un passo dalle conseguenze più catastrofiche e irreversibili del cambiamento climatico, ritenuto dagli esperti la più grave minaccia esistenziale per l'umanità. Più saremo e inevitabilmente più consumeremo e inquineremo, col solo risultato di aumentare le probabilità della fine della civiltà umana: secondo alcuni questo scenario apocalittico potrebbe verificarsi già entro il 2050.
Il problema fondamentale evidenziato dal professor Rees risiede nel fatto che continuiamo a consumare le risorse naturali della Terra a un ritmo insostenibile a causa del nostro retaggio evolutivo, che tanto ha fatto bene in passato, ma che oggi continua a spingere l'umanità a prendere molto più di ciò di cui ha effettivamente bisogno. È una sorta di corto circuito del pensiero a breve termine, che offusca la lungimiranza. Lo scienziato sottolinea che l'operato dell'uomo è una “struttura dissipativa e un sottosistema dell'ecosfera”, che “può crescere e mantenersi solo consumando e dissipando l'energia e le risorse disponibili estratte dal suo sistema ospite, l'ecosfera, e scaricando i rifiuti nel suo ospite”. È un circolo vizioso che sta per presentarci un conto salatissimo, semplicemente perché “stiamo consumando e inquinando le basi biofisiche della nostra stessa esistenza”. È l'erosione dei pilastri che ci consentono di vivere, a preoccupare l'esperto. Un esempio calzante è quello della sovrappesca: gli esperti ritengono che entro il 2050 nei mari e negli oceani del mondo ci sarà più plastica che pesce, una condizione frutto del crollo degli stock ittici e al contempo dell'inquinamento indiscriminato.
Alla luce di questa situazione, nella quale ci siamo infilati con le nostre stesse mani, il professor Rees indica che l'economia globale “si contrarrà inevitabilmente” e l'umanità andrà incontro a un fenomeno di "importante ‘correzione' della popolazione". Ciò avverrà entro la fine di questo secolo, secondo la sua fosca previsione. Con le nostre azioni stiamo erodendo la biomassa, interrompendo i cicli dei nutrienti e catalizzando la sesta estinzione di massa, tutto ciò porterà al collasso dei sistemi che permettono la sopravvivenza. Il pianeta non sarà più in grado di sostenerci tutti e la conseguenza più probabile, secondo lo scienziato, sarà il collasso della civiltà, con le sole società ricche e potenti in grado di resistere – almeno parzialmente – all'onda d'urto catastrofica. Del resto anche il necessario passaggio alle risorse rinnovabili potrebbe accelerare i consumi e di fatto non risolverebbe comunque il problema della domanda di una popolazione in crescita esponenziale, che a un certo punto non potrà più esserlo proprio perché non avrà più le risorse necessarie da cui attingere.
I segnali di una futura riduzione della popolazione mondiale umana, anche per cause non strettamente connesse allo studio in questione, arrivano da importanti studi statistici: secondo la ricerca “Fertility, mortality, migration, and population scenarios for 195 countries and territories from 2017 to 2100: a forecasting analysis for the Global Burden of Disease Study” pubblicata su The Lancet, ad esempio, gli esperti prevedono una riduzione della popolazione entro il 2100, con alcuni Paesi che subiranno un vero e proprio tracollo. In Italia, Spagna, Portogallo, Giappone e Corea del Sud si attende una riduzione della popolazione del 50 percento, un fenomeno dovuto anche alla forte denatalità.