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La NASA prevede di far schiantare la Stazione Spaziale Internazionale nell’Oceano Pacifico

Il piano è stato descritto nel nuovo report dell’Agenzia spaziale degli Stati Uniti, con cui sono state programmate le manovre di deorbita, ingresso nell’atmosfera terrestre e inabissamento nel gennaio 2031.
A cura di Valeria Aiello
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La Stazione Spaziale Internazionale vista dalla navetta spaziale Endeavour / NASA
La Stazione Spaziale Internazionale vista dalla navetta spaziale Endeavour / NASA

Prolungata la missione della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) fino al 2030, la NASA ha programmato per gennaio 2031 le manovre di deorbita e rientro nell’atmosfera terrestre della struttura orbitante, prevedendo che si schianterà nel punto più remoto dell’Oceano Pacifico, il Punto Nemo, conosciuto anche come il “cimitero” dei veicoli spaziali e chiamato così in onore del Capitano Nemo di Jules Verne. Il piano, descritto nel nuovo report dell’Agenzia spaziale degli Stati Uniti, è stato aggiornato dopo che il pensionamento della ISS, precedentemente ipotizzato per il 2024, è stato rimandato in considerazione delle condizioni ancora sufficientemente sicure della struttura primaria, che include moduli, radiatori e travatura.

Le operazioni prevedono che, una volta raggiunto il fine vita, i moduli commerciali dell’ISS vengano distaccati e la struttura spaziale abbassi l’altezza della sua orbita fino a sfiorare l’atmosfera terreste, in modo da acquistare una maggiore velocità complessiva. La manovra verrà realizzata utilizzando le capacità di propulsione della ISS e di alcuni veicoli spaziali senza equipaggio (dovrebbero essere inviate tre Progress russe e forse anche una Cygnus), fino a raggiungere l’allineamento con l’obiettivo finale nell’area dell’Oceano Pacifico, dove verrà fornita la spinta finale “per abbassare il più possibile la ISS e garantire un ingresso sicuro nell’atmosfera terrestre” afferma il rapporto.

Parte della stazione dovrebbe disintegrarsi, mentre i resti finiranno per inabissarsi nel Punto Nemo, nel Pacifico meridionale, il punto più inaccessibile e lontano dalle terre emerse – a circa 3.000 miglia al largo della costa orientale della Nuova Zelanda e 2.000 miglia a Nord dell’Antartide – dove si stima che le nazioni che operano nello spazio, come Stati Uniti, Russia, Giappone e Paesi europei, abbiano sommerso oltre 250 detriti spaziali dal 1971.

Si concluderà così la storia dell’ISS, il più grande e sofisticato laboratorio spaziale, mantenuto nell’orbita terrestre a un’altitudine compresa tra i 330 e 410 km e abitato continuativamente dal novembre 2020. La sua costruzione è iniziata nel 1998 con l’obiettivo di sviluppare e testare tecnologie per l’esplorazione spaziale, sviluppare tecnologie in grado di mantenere in vita un equipaggio in missioni oltre l’orbita terrestre e acquisire esperienze operative per voli spaziali di lunga durata, nonché di funzionare come laboratorio di ricerca in un ambiente di microgravità. Nei suoi primi vent’anni si sono goduti un periodo a bordo più 200 astronauti di 19 nazionalità, alcuni tornati più volte, e sono state svolte oltre 3.000 attività scientifiche messe a punto da circa 4.200 ricercatori di tutto il mondo.

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