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Covid 19

La fine della strategia “zero Covid” in Cina non ha fatto emergere nuove varianti (almeno per ora)

La cancellazione delle durissime misure anti Covid in Cina, avvenuta a dicembre 2022, fece temere l’emersione di nuove varianti del coronavirus SARS-CoV-2. Uno studio su The Lancet ha dimostrato che non è andata così, almeno per il momento.
A cura di Andrea Centini
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Particelle virali del coronavirus su cellula umana. Credit: NIAID
Particelle virali del coronavirus su cellula umana. Credit: NIAID
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Nonostante la fine delle restrizioni anti Covid più dure, in Cina non sono emerse nuove varianti del coronavirus SARS-CoV-2. Almeno per il momento. In altri termini, ad oggi non si è verificato lo spauracchio temuto da molti Paesi occidentali e non solo, Italia compresa, che hanno imposto controlli più stringenti sui voli provenienti dalle città cinesi dopo la decisione di Pechino. Tra essi l'introduzione dell'obbligo di tampone oro-rinofaringeo per tutti i viaggiatori, misura che ha provocato significativa irritazione tra le autorità del Dragone.

Tutto ha avuto inizio lo scorso 7 dicembre, quando è stata rimossa la famigerata strategia “zero Covid” nel grande Paese asiatico, a seguito delle enormi proteste da parte della popolazione, sempre più sofferente. Per tre anni, da quando è scoppiata la pandemia di COVID-19, Pechino ha infatti imposto lockdown durissimi continui e ripetuti a città con milioni di persone, anche per un singolo caso asintomatico. Ciò ha stroncato sul nascere la diffusione dei contagi. Queste misure draconiane, legate a pene severissime e test di massa, hanno permesso alla Cina di evitare le ondate drammatiche che hanno colpito gli altri Paesi, ma la situazione diventata ormai insostenibile per la popolazione ha obbligato le autorità a cambiare rotta.

Così, dalla fine dello scorso anno, in molti hanno temuto che la rapida circolazione del virus in Cina a causa della fine delle restrizioni – evidenziata dai dati epidemiologici in crescita esponenziale – avrebbe dato vita a nuove varianti, potenzialmente ancora più trasmissibili, elusive e magari anche gravi di Omicron, che sta dominando la pandemia di COVID-19 da oltre un anno (oggi con molteplici sottovarianti). Ma così non è stato, come indicato. Per capire se la cancellazione della strategia “zero Covid” avrebbe dato vita a queste nuove varianti è stato condotto uno studio ad hoc, basato sul sequenziamento di oltre 400 campioni biologici ottenuti da pazienti positivi tra il 14 novembre e il 20 dicembre dello scorso anno. Fra essi in 350 erano casi locali, mentre i restanti erano importati da decine di altri Paesi.

Dalle analisi condotte è emerso che tutti i campioni virali sequenziati appartenevano a ceppi ben noti alla comunità scientifica. Più nello specifico, le varianti dominanti a Pechino – dove è stato condotto lo studio – erano principalmente la BF.7 (75,7 percento dei casi) e la BA5.2 (16,3 percento), entrambe sottovarianti di Omicron. La situazione non era dunque differente da quella presente in altri Paesi. In Italia, ad esempio, in base all'ultimo bollettino dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS) pubblicato all'inizio di febbraio, la sottovariante dominante è la BA.5 (86,3 percento del totale dei tamponi sequenziati), seguita da BA.2 (9,8 percento) e BA.4 (0,3 percento). In leggera crescita anche la ricombinante XBB 1.5 (Kraken). Sono diverse e con caratteristiche peculiari, ma tutte "figlie" di Omicron.

A condurre il nuovo studio in Cina è stato un team di ricerca guidato da scienziati del Beijing Center for Disease Prevention and Control e dell'Istituto di Microbiologia dell'Accademia Cinese delle Scienze, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del National Institute for Viral Disease Control and Prevention. I ricercatori coordinati dai professori George F. Gao e Quanyi Wang hanno sottolineato che, sebbene i campioni sequenziati provenissero solo da Pechino, i risultati potrebbero fare riferimento all'intero territorio cinese.

Proprio la concentrazione geografica e il fatto che siano stati presi in considerazione troppi pochi giorni dopo la fine della strategia “zero Covid” sono considerati i limiti principali di questo studio. Come affermato in un comunicato stampa dai ricercatori Wolfgang Preiser e Tongai Maponga dell'Università di Stellenbosch (Sudafrica), infatti, “il profilo epidemiologico molecolare del SARS-CoV-2 in una regione di un paese vasto e densamente popolato non può essere estrapolato all'intero paese. In altre regioni della Cina potrebbero svolgersi altre dinamiche evolutive, forse includendo specie animali che potrebbero essere infettate da esseri umani e ‘trasmettere' un ulteriore virus evoluto”.

Insomma, sarebbe troppo presto per trarre conclusioni sulla mancata emersione di nuove varianti del coronavirus in territorio cinese. Solo il tempo potrà confermarlo. I dettagli della ricerca “Characterisation of SARS-CoV-2 variants in Beijing during 2022: an epidemiological and phylogenetic analysis” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica The Lancet.

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