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Il virus dell’influenza aviaria dilaga negli allevamenti italiani, tra animali ammassati e morti

A causa dell’epidemia di aviaria H5N1 sono stati uccisi oltre 8 milioni di animali negli allevamenti italiani, dove dilagano sofferenza, stress e scarsa igiene.
A cura di Andrea Centini
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Mentre nel mondo continua a diffondersi la pandemia di COVID-19, favorita anche dall'emersione dall'elusiva variante Omicron del coronavirus SARS-CoV-2, c'è un altro patogeno che sta serpeggiando in numerosi Paesi, Italia compresa, lasciandosi dietro una lunga scia di sofferenza e morte tra gli animali. Si tratta del virus dell'influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) del sottotipo H5N1, alla base di un vero e proprio sterminio in atto negli allevamenti intensivi del Nord Italia. Come indicato dalla Lega Anti Vivisezione (LAV), sono già oltre otto milioni gli animali abbattuti a causa della circolazione del patogeno, da quando è iniziata la nuova stagione epidemica nel nostro Paese. Il numero enorme di esemplari uccisi è purtroppo destinato a salire ulteriormente, proprio a causa del dilagare dell'infezione, che porta all'abbattimento preventivo di interi allevamenti (non facendo distinzioni tra animali in “salute” e infetti), sia per evitare l'ulteriore circolazione virale che come misura di salute pubblica. Ma il ceppo dell'influenza aviaria H5N1, originato in Cina e trasferito nel resto del pianeta attraverso le migrazioni degli uccelli acquatici, è solo una parte del problema. A catalizzare il rischio di contagio vi sono infatti anche le atroci condizioni degli animali stipati negli allevamenti intensivi, condannati a una (breve) vita di sofferenze inaudite e stress, trampolino di lancio per qualsivoglia malattia infettiva.

Credit: Aitor Garmendia/LAV
Credit: Aitor Garmendia/LAV

A puntare i riflettori sull'incubo vissuto dagli animali imprigionati nelle fabbriche di carne e uova è proprio la LAV, grazie a una nuova videoinchiesta condotta dal suo team investigativo in collaborazione con i report Aitor Garmendia e Linas Korta. Nello specifico, i volontari hanno documentato ciò che avviene all'interno di due allevamenti di galline ovaiole in provincia di Mantova e Brescia, dove sono ammassati centinaia di migliaia di animali. Entrambe le strutture erano state colpite da un'altra epidemia di influenza aviaria nel 2017. Le immagini che potete osservare nel video in testa all'articolo, registrate prima che scoppiasse la nuova epidemia di H5N1, sono sconcertanti. Le galline vivono in condizioni terrificanti, non solo per il sovraffollamento estremo, già sufficiente fonte di stress e malessere, ma soprattutto per la drammatica incuria igienico-sanitaria. Oltre a infestazioni di parassiti – come quelle di acari rossi – che abbondano su pelle e piumaggio delle galline e persino sulle uova, nelle gabbie sono presenti i corpi esanimi degli animali morti, lasciati a decomporsi per giorni o addirittura settimane accanto ai vivi. Nel documento della LAV si vedono le galline mentre camminano sulle proprie compagne decedute, oltre a esemplari feriti lasciati senza cure e a contatto con gli altri. Nei capannoni dilagano perennemente malformazioni dovute alla vita in gabbia, sofferenza e stress estremi, vero e proprio volano per le infezioni da influenza aviaria.

Credit: Aitor Garmendia/LAV
Credit: Aitor Garmendia/LAV

“Quello che appare è uno scenario agghiacciante: in una struttura nella provincia di Mantova, che contiene circa 700 mila animali, gli investigatori hanno trovato cadaveri lasciati a contatto con altri animali vivi e radunati in gruppo in zone accessibili ad altri animali, mentre in un’altra struttura della provincia di Brescia, in cui sono confinati circa 200 mila animali, i cadaveri, alcuni evidentemente presenti da più di 24 ore, ed in alcuni casi da settimane, sono stati trovati anche a contatto con le uova e con il cibo somministrato agli animali. Corpi di animali morti sono inoltre stati trovati nella zona di stoccaggio all’interno di sacchi di carta provenienti da altro utilizzo”, si legge nel comunicato stampa diffuso dalla LAV.

Credit: Aitor Garmendia/LAV
Credit: Aitor Garmendia/LAV

L'associazione sottolinea inoltre la presenza di uova a contatto con le deiezioni, una generale carenza dei sistemi di pulizia e problemi infrastrutturali che minacciano l'incolumità degli animali. Diverse galline hanno inoltre “i sintomi avanzati della ritenzione dell’uovo”, che provoca dolore e morte in tempi rapidi quando non trattata. Non c'è da stupirsi che in un simile contesto, in cui le difese immunitarie degli animali sono abbattute dalla costante condizione di malessere, i focolai di influenza aviaria possano scatenarsi e propagarsi con grande facilità. A catalizzare il rischio vi è anche la scarsissima diversità genetica galline, praticamente tutti "cloni" progettati per sfornare uova (o produrre carne) nel più breve lasso di tempo possibile, a ritmi naturali. Questo dettaglio, specifica la LAV, favorisce anche la ricombinazione dei virus e dunque la nascita di nuove varianti, che minacciano anche gli animali selvatici, non essendo dotati delle difese immunitarie adeguate per contrastarle. Sullo sfondo vi è anche il non trascurabile rischio che i virus dell'influenza aviaria possano compiere il salto di specie (spillover) all'uomo: secondo i dati dell'OMS il ceppo originario del sottotipo H5N1 ha ucciso circa 500 persone nel mondo a partire dal 1997. Non si può escludere che in futuro possano essere selezionati altri virus ben più aggressivi e trasmissibili, in grado di scatenare un'altra catastrofica pandemia come quella che stiamo vivendo oggi.

Credit: Aitor Garmendia/LAV
Credit: Aitor Garmendia/LAV

“Il costo di un’epidemia come quella attualmente in corso è ben maggiore della mera perdita economica del singolo allevatore, o del comparto. Le conseguenze sulla collettività sono gravi: sia in termini di risorse pubbliche spese a sostegno di un sistema di produzione di cibo malato, crudele ed insostenibile, sia per l’esposizione ad un rischio sanitario elevato ed evitabile – dichiara Lorenza Bianchi, responsabile LAV Animali negli Allevamenti – Questa ennesima epidemia di aviaria mostra che è necessario ripensare il nostro modo di produrre e consumare cibo, lasciando lo sfruttamento degli animali fuori dal nostro piatto”. Un importante passo nel ridurre la sofferenza degli animali sfruttati negli allevamenti intensivi nel nostro Paese è stato compiuto proprio in questi giorni: dal 2027, infatti, non potranno più essere sterminati i pulcini maschi, considerati uno “scarto produttivo” dall'industria delle uova. Ogni anno in Italia ne vengono uccisi fino a 40 milioni, tritati vivi o soffocati.

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