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Identificato un uomo protetto dall’Alzheimer grazie a una mutazione: speranze per nuove terapie

Un uomo colombiano che avrebbe dovuto sviluppare l’Alzheimer attorno ai 40 anni (a causa di una condizione genetica) ha avuto solo un leggero declino cognitivo poco prima dei 70 anni. A proteggerlo dalla demenza una mutazione in un gene, la cui recente scoperta potrebbe portare a terapie rivoluzionare contro il morbo.
A cura di Andrea Centini
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In Colombia è stato identificato un uomo con una mutazione che lo ha protetto dall'esordio precoce del morbo di Alzheimer. Il paziente è infatti portatore di un'altra mutazione chiamata Paisa che scatena la malattia autosomica dominante di Alzheimer (ADAD) nella mezza età, trai 45 e i 55 anni, tuttavia ha sviluppato solo lieve declino cognitivo attorno ai 67 anni, nonostante le scansioni cerebrali hanno mostrato un cervello con anomalie legate alle gravi forme di demenza. Lo “scudo” che lo ha protetto è proprio la seconda mutazione recentemente rilevata, in un gene che codifica per la proteina chiamata reelin. Questa scoperta potrebbe portare gli scienziati a sviluppare terapie innovative in grado di proteggere le persone dall'Alzheimer e dunque dal declino cognitivo, caratterizzato da disturbi nella memoria, nel linguaggio, nell'orientamento e in altri elementi.

A descrivere il caso dell'uomo protetto dall'Alzheimer e a scoprire la mutazione protettrice è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati della Facoltà di Medicina dell'Università di Antioquia di Medellín (Colombia), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dello Schepens Eye Research Institute of Mass Eye and Ear e del Dipartimento di Oftalmologia dell'Università di Harvard (Stati Uniti), dello University Medical Center Hamburg-Eppendorf di Amburgo (Germania) e di altri istituti. I ricercatori hanno identificato l'uomo poiché seguono la sua famiglia allargata – composta da 6.000 persone – da diversi anni; sono infatti tutti portatori della mutazione Paisa. Del resto sapere come si evolve l'Alzheimer a esordio precoce può aiutare gli scienziati a comprendere meglio la patologia e a scovare nuovi potenziali trattamenti.

Come indicato, anche il paziente protetto avrebbe dovuto sviluppare l'Alzheimer tra i 40 e i 50 anni, ma solo proprio prima dei 70 anni è stato colpito da un leggero declino cognitivo. Questo nonostante avesse il cervello atrofizzato, pieno di placche di beta amiloide e con grovigli di tau. Si tratta di due proteine “appiccicose” che si accumulano nel cervello delle persone con demenza e che associate alla morte dei neuroni (la neurodegenerazione), dunque al severo declino cognitivo. Ma come ha fatto a non essere colpito dalla demenza grave nonostante le anomalie cerebrali? Analizzando il suo genoma, gli scienziati coordinati dal professor Francesco Lopera, docente presso il Gruppo di Neuroscienze di Antioquia dell'ateneo di Medellìn, hanno identificato la variante mutata del gene che codifica per la proteina reelin.

Dalle scansioni cerebrali è emerso che nonostante il suo cervello fosse atrofizzato e con proteine appiccicose, una piccola parte di esso – chiamata corteccia entorinale – aveva bassi livelli di tau. Come specificato su Nature si tratta di una regione cerebrale che coordina la memoria e la navigazione. Gli scienziati sospettano che la mutazione abbia protetto questa parte fondamentale del cervello dalla neurodegenerazione preservando la cognizione ben oltre i tempi dei pazienti con mutazione Paisa.

Poiché il meccanismo biologico che innesca la protezione dall'Alzheimer da parte di questa proteina non è noto, i ricercatori hanno condotto una sperimentazione con modelli murini (topi) geneticamente modificati per portare la medesima mutazione nel gene RELN, tecnicamente chiamata H3447R – COLBOS. Si tratta di una variante “con guadagno di funzione che mostra una maggiore capacità di attivare il suo bersaglio proteico canonico Dab1 e ridurre la fosforilazione della Tau umana in un topo knockin”, come spiegato nell'abstract nello studio. In parole semplici, nei topi ha innescato una modifica chimica nella proteina Tau riducendo la sua capacità di accumularsi nella corteccia entorinale. Secondo gli autori dello studio sarebbe proprio questo il processo a proteggere l'uomo dall'Alzheimer.

Si tratta di una scoperta estremamente significativa per due ragioni. La prima è che il ruolo delle placche di beta amiloide sembra essere ridotto nello sviluppo del grave declino cognitivo, perlomeno in questa forma di Alzheimer (possono essercene più tipi); la seconda è che grazie all'individuazione di questa mutazione si potrebbe arrivare a un trattamento in grado di impedire / limitare l'accumulo della Tau nel cervello, preservando così la cognizione. “Leggere quel documento mi ha fatto rizzare i peli sulle braccia. È solo una nuova strada così importante per perseguire nuove terapie per il morbo di Alzheimer”, ha dichiarato a Nature la neuroscienziata Catherine Kaczorowski dell'Università del Michigan, non coinvolta nello studio. Si ricorda che l'uomo colombiano è la seconda persona al mondo ad aver mostrato una mutazione protettiva nei confronti dell'Alzheimer; la prima fu la sorella, ma presentava una mutazione differente (APOE3 Christchurch – APOECh) che ha sì rallentato il declino cognitivo, ma non così a lungo e in modo così efficace. La donna aveva comunque anche altre problematiche – come ferite alla testa – che avrebbero potuto catalizzare la neurodegenerazione.

Lo studio di questi casi eccezionali e la continua sorveglianza genetica della vasta famiglia colombiana potrebbe davvero portare a una svolta nella lotta contro questa devastante patologia. I dettagli della ricerca “Resilience to autosomal dominant Alzheimer’s disease in a Reelin-COLBOS heterozygous man” sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Medicine.

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