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Farmaci e pesticidi nella Laguna di Venezia stanno mettendo in pericolo la salute degli uccelli

Lo rileva uno studio italiano condotto nell’ambito del progetto AWExPharma per il monitoraggio dell’esposizione degli uccelli selvatici ai prodotti farmaceutici rilasciati nell’ambiente.
A cura di Valeria Aiello
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Farmaci e pesticidi rilasciati nell’ambiente hanno raggiunto livelli tali da essere potenzialmente tossici per la salute degli uccelli che nidificano nella Laguna di Venezia. Lo rileva un nuovo studio condotto dal team di ricerca italiano coordinato dagli studiosi dell’Università Ca’ Foscari Venezia che, nell’ambito del progetto AWExPharma per il monitoraggio dell’esposizione degli uccelli selvatici ai prodotti farmaceutici, ha riscontrato la presenza di alte concentrazioni di alcuni contaminanti nelle piume dei pulli di “beccapesci” (Thalasseus sandvicensis) e gabbiano corallino (Ichthyaetus melanocephalus), insediati rispettivamente nell’area della Barena Celestia e della Laguna Nord.

I risultati delle analisi, pubblicati su Science of the Total Environment ed Environmental Research, hanno indicato che nelle piume prelevate dai pulli di queste due specie, l’87% dei 47 campioni analizzati conteneva il principio attivo diclofenac, un antinfiammatorio non-steroideo, oltre a ibuprofene, nimesulide, naprossene e gli antidepressivi citalopram, fluvoxamina e sertralina. Il 91% dei campioni conteneva anche tracce quantificabili di neonicotinoidi, una classe di pesticidi chimicamente simili alla nicotina.

Il progetto, coordinato dall’ecotossicologo Marco Picone dell’Università Ca’ Foscari Venezia, è il primo a considerare l’impiego delle piume per monitorare l’esposizione degli uccelli acquatici ai prodotti farmaceutici. Inoltre, è il primo a testimoniare la presenza di farmaci antiinfiammatori non-steroidei (FANS) e gli inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina (SSRI) nei tessuti dei pulli. “Abbiamo studiato i pulli non volanti di beccapesci e gabbiani corallini perché dipendono totalmente dai genitori per l’alimentazione – ha spiegato Picone in una nota -. Questi uccelli procurano il cibo per la prole in un’area di alcuni chilometri quadrati intorno alle colonie di nidificazione. Di conseguenza, i contaminanti presenti nei pulcini risultano totalmente attribuibili alla contaminazione locale dell’area di nidificazione”.

Le piume, prelevate dal tratto dorsale dei pulli senza alcuna conseguenza per i giovani uccelli, fungono infatti da “archivio dei contaminanti” durante il periodo di formazione della piuma stessa – proprio come i nostri capelli, che permettono di rilevare l’uso farmaci e droghe – , fornendo un’indicazione diretta dell’esposizione cui sono stati soggetti gli individui studiati.

Le piume dei beccapesci, in particolare, sono state raccolte nel giugno 2019 mentre i campioni prelevati dai pulli di gabbiano corallino risalivano al giugno 2018, due date rilevanti poiché nel 2018 l’Unione Europea ha messo al bando l’utilizzo in colture all’aperto di prodotti contenenti tre neonicotinoidi considerati dalla ricerca: imidacloprid, thiamethoxam e clothianidin.

Abbiamo trovato imidacloprid e clothianidin in tutti i gabbiani e nella maggior parte dei beccapesci – ha aggiunto Picone – . Questo conferma come il bando del 2018, non totale (ha riguardato solo le colture all’aperto), non abbia eliminato gli input di questi pesticidi e che gli uccelli marini sono esposti a questi contaminanti a prescindere dalle loro abitudini alimentari. I gabbiani corallini, infatti, sono onnivori e nella loro dieta possono entrare tanto specie acquatiche quanto insetti irrorati dai pesticidi. I beccapesci, invece, si nutrono essenzialmente di piccoli pesci (sardine, spratti e acciughe), a conferma di come i neonicotinoidi possano arrivare ovunque nell’ecosistema”.

Anche se la presenza di questi contaminanti nelle piume non è necessariamente indicativa di effetti tossici, gli studiosi concordano nel ritenere i neonicotinoidi potenzialmente dannosi per la salute riproduttiva degli uccelli. “Le sostanze tossiche potrebbero indurre un ritardo nella migrazione che, a sua volta, può portare gli esemplari a fermarsi in luoghi non ottimali per la selezione dei partner e a ritardi nella nidificazione – ha concluso Picone – . Effetti a catena che possono mettere in pericolo specie già vulnerabili”.

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