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Cosa sappiamo del super batterio “Conan” capace di resistere ed eliminare le scorie radioattive

Ad occuparsene da oltre un decennio è un team di ricerca italiano, il cui studio ha un enorme potenziale applicativo sia nel campo delle nanotecnologie sia nello sviluppo di nuove tecnologie antibiotiche.
A cura di Valeria Aiello
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Si chiama Deinococcus radiodurans ma si è guadagnato il soprannome di Conan, come il barbaro dei racconti fantasy di Robert Ervin Howard, per la sua straordinaria resistenza. I ricercatori preferiscono però chiamarlo Dra, diminutivo del nome di questa specie batterica, tra le più studiate per la sua capacità di “sopravvivere alle radiazioni”. Scoperto nel 1956 durante gli esperimenti per la sterilizzazione del cibo in scatola mediante i raggi gamma, questo super batterio può infatti resistere a livelli di radiazioni ionizzanti fino a 15mila volte superiori a quelle sufficienti a uccidere un uomo. Altre sperimentazioni hanno successivamente evidenziato che resiste al congelamento, all’essicazione e alle fluttuazioni di temperatura, a testimonianza della sua estremofilia, cioè la capacità di sopravvivere in condizioni estreme. Un test condotto nel 2015 a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) ha addirittura dimostrato che questa forma di vita è stata in grado di resistere per un anno anche all’esterno della stazione orbitante, dove i raggi cosmici possono superare le varie centinaia di MeV.

Il super batterio che resiste alle radiazioni

Tale radioresistenza, che gli è valsa il Guinness World Record, è possibile grazie ad una sorprendente capacità di autoprotezione e riparazione del DNA, che da circa un decennio è al centro delle ricerche di un team di scienziati dell’Università di Cagliari, impegnati a comprendere i meccanismi di resistenza degli organismi biologici a stress di varia natura. “Secondo alcuni ricercatori russi e americani, la sua evoluzione potrebbe avere avuto luogo su Marte, per poi diffondersi anche sulla Terra in conseguenza ad un impatto meteorico – spiegano i ricercatori dell’Ateneo cagliaritano in una nota – . Ma potrebbe anche essere vero il contrario: un batterio terrestre potenzialmente in grado di migrare nell’universo portando la vita su altri pianeti”.

In un ultimo lavoro, coordinato dai docenti Dario Piano e Domenica Farci del Dipartimento di Scienze della vita e dell’ambiente e della Facoltà di Biologia e Farmacia dell’Università di Cagliari, sono state descritte per la prima volta “con dettagli senza precedenti” alcune caratteristiche dell’involucro cellulare di questo super batterio. Le nuove osservazioni, pubblicate sulla prestigiosa rivista Pnas in un articolo dal titolo “The structured organization of Deinococcus radiodurans’ cell envelope”, sono relative “all’organizzazione regolare di tre complessi proteici che tappezzano in maniera cristallina l’intera parete cellulare batterica” hanno spiegato i due ricercatori. “Si tratta del primo caso nel quale si osserva una parete cellulare strutturata con un così alto grado di regolarità”.

Secondo gli studiosi, è proprio questo elevato livello di organizzazione a contribuire a proteggere il batterio dagli stress ambientali e a permettere di limitare l’entità dei danni al DNA dovuti all’esposizione alle radiazioni. Le implicazioni di tale studio hanno un enorme potenziale applicativo in diversi campi delle nanotecnologie e nello sviluppo di nuove tecnologie antibiotiche” sottolineano i due scienziati .

Tuttavia, non è ancora chiaro quale sia l’habitat naturale di questo super batterio. Il Deinococcus radiodurans è stato finora isolato sia in ambienti ricchi di nutrienti organici, come terreni, feci animali, carni lavorate e acque di scarico, sia in ambienti secchi come polvere e tessuti. Quel che è certo è che sono diverse le applicazioni del Deinococcus, anche attraverso l’utilizzo di tecniche di ingegneria genetica; è stato tra l’altro dimostrato che il batterio potrebbe essere usato per l’eliminazione delle scorie radioattive.

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