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Vaiolo delle scimmie in Italia ed Europa

Cosa bisogna fare se si è positivi al vaiolo delle scimmie

Il vaiolo delle scimmie si è diffuso in 12 Paesi in cui la malattia non è endemica e i casi continueranno ad aumentare. Ecco cosa fare in caso di positività.
A cura di Andrea Centini
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I casi di vaiolo delle scimmie (monkeypox) continuano a crescere in Europa e in America, tanto che il presidente statunitense ha affermato che tutti noi “dovremmo essere preoccupati”, mentre per l'Organizzazione Mondiale della sanità (OMS) il mondo è innanzi a un'altra “sfida formidabile”, dopo la pandemia di COVID-19 – ancora in corso – e la guerra in Ucraina. Nonostante gli esperti ritengano che il rischio per la popolazione generale sia basso, i casi continueranno ad aumentare nei prossimi giorni e ciò che stiamo vedendo sarebbe la punta dell'iceberg dei focolai, che ormai hanno coinvolto una dozzina di Paesi. Al momento, in Italia, si registrano tre casi confermati, tutti ricoverati in discrete condizioni presso l'Istituto Nazionale per le Malattie Infettive (INMI) “Lazzaro Spallanzani” di Roma. Anche da noi è tuttavia verosimile che possano essere diagnosticate altre infezioni e gli esperti stanno già raccomandando una quarantena di 21 giorni, col Belgio che l'ha già resa obbligatoria per i positivi. Dunque, come ci si deve comportare nel caso in cui si venisse contagiati dal virus del vaiolo delle scimmie?

Quarantena in caso di infezione

In un'intervista al Corriere della Sera il professor Emanuele Nicastri, direttore della divisione Malattie Infettive presso lo Spallanzani, ha affermato che le persone positive al virus devono sottoporsi agli stessi protocolli dei pazienti con COVID-19, la malattia provocata dal coronavirus SARS-CoV-2. Perlomeno, a quelli previsti durante le fasi passate della pandemia. Gli infetti dal virus del vaiolo delle scimmie devono infatti restare in isolamento per 21 giorni. “Per loro – spiega Nicastri – vengono applicati gli stessi protocolli del Covid: possono ricevere visite ma da dietro un vetro che li scherma”. L'esperto ha aggiunto che in caso di positività è possibile restare anche a casa, tuttavia devono essere seguite le misure anti contagio e di distanziamento fisico che ben conosciamo da più di due anni, ovvero “stanza singola e ben areata, mascherine se si entra in contatto con un convivente, bagno separato”. Nel documento “Monkeypox contact tracing guidance: classification of contacts and advice for vaccination and follow up”, una linea guida sul rischio di contagio, l'Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito (UKHSA) raccomanda l'isolamento fino a un massimo di 21 giorni anche per i contatti stretti dei casi confermati, come i partner e i famigliari, ai quali viene offerto anche il vaccino MVA-BN vaccine Imvanex. Viene sottolineata anche l'importanza di rilasciare i dati per il tracciamento dei contatti, di evitare i viaggi e soprattutto di non entrare in contatto con soggetti immunodepressi, donne in gravidanza e bambini sotto i 12 anni, le categorie più esposte a eventuali complicanze del monkeypox.

Le raccomandazioni dell'ISS

L'Istituto Superiore di Sanità (ISS) raccomanda in questo periodo di “restare a casa a riposo qualora insorga la febbre e di rivolgersi al medico di fiducia in caso di comparsa di vescicole o altre manifestazioni cutanee”; l'eruzione cutanea con pustole è infatti tra i sintomi più distintivi della patologia, provocata da un virus a DNA del genere Orthopoxvirus (famiglia Poxviridae). Non a caso, a scopo preventivo, l'ISS raccomanda di valutare prima di ogni contatto personale stretto o sessuale “la presenza di eventuali manifestazioni cutanee inusuali (quali vescicole o altre lesioni) sulla cute del partner”. Le persone più esposte al rischio di contagio sono infatti quelle che hanno avuto contatti stretti e sessuali con un infetto e chi ha cambiato il letto di una persona positiva senza utilizzare dispositivi di protezione individuale (DPI). La trasmissione tra uomo e uomo può avvenire anche per il contatto con altri fomiti (oggetti contaminati), goccioline respiratorie e in genere fluidi corporei dei positivi.

In quanto tempo si guarisce dal vaiolo delle scimmie

Fortunatamente il vaiolo delle scimmie non è aggressivo come il vaiolo umano, eradicato da decenni. La mortalità secondo i dati più recenti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità si attesta tra il 3 e il 6 percento per il ceppo dell'Africa occidentale, quello che sta circolando in Europa e negli Stati Uniti. È molto meno virulento del ceppo del Congo / Africa Centrale, che nei bambini senza vaccino arriva a una mortalità del 20 percento (mediamente è del 10 percento). Il vaiolo delle scimmie, spiega l'OMS, è una malattia “autolimitante” che guarisce spontaneamente nel giro di poche settimane, tra le due e le tre, massimo quattro. Nei casi che lo richiedono, oltre alla terapia di supporto, possono essere impiegati farmaci antivirali come il Tecovirimat o Tpoxx e il Cifodir, che agiscono rispettivamente sulla trasmissione cellulare e la sintesi del DNA virale.

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