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Aritmie cardiache pericolose per la vita più probabili nelle giornate inquinate

Ricercatori italiani hanno scoperto che nei giorni con livelli di inquinamento atmosferico più alti aumenta il rischio di aritmie cardiache pericolose.
A cura di Andrea Centini
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Nelle giornate con livelli di inquinamento atmosferico particolarmente elevati è più probabile che possano verificarsi aritmie cardiache pericolose per la vita, secondo un nuovo studio italiano. Lo smog, del resto, è contemplato tra le principali minacce alla salute pubblica; basti pensare che ogni anno strappa la vita a circa 7 milioni di persone, in base ai dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Si stima che ciascuno di noi perda ben 2,2 anni di vita a causa dell'inquinamento atmosferico. Oltre a catalizzare il rischio di infezioni respiratorie (soprattutto nei bambini), cardiopatia ischemica e ictus, dunque, lo smog può innescare anche aritmie ventricolari potenzialmente fatali.

A determinare il legame tra aritmie cardiache pericolose per la vita e inquinamento atmosferico è stato un team di ricerca italiano composto da medici e scienziati dell'Ospedale di Piacenza. I ricercatori, coordinati dai dottori Alessia Zanni e Luca Moderato, si sono concentrati su pazienti del Nord Italia con un defibrillatore cardioverter impiantabile (ICD), un dispositivo in grado di attivarsi in presenza di aritmia e salvare la vita regolando la funzione cardiaca. Nello specifico hanno seguito pazienti residenti a Piacenza, una città classificata dall'Agenzia europea dell'ambiente al 307esimo posto su 323 “per le concentrazioni medie annuali di PM 2.5 nel 2019 e nel 2020”, con un dato di ben 20,8 μg/m3.

In precedenza i ricercatori avevano osservato un'anomala concentrazione di casi di aritmie cardiache tra i pazienti con ICD proprio nei giorni più inquinati, per questo hanno deciso di vederci chiaro preparando uno studio ad hoc. Hanno così coinvolto circa 150 pazienti con ICD tra il 2013 e il 2017 e hanno raccolto i dati sugli eventi di tachicardia ventricolare e fibrillazione ventricolare, confrontandoli con le concentrazioni di particolato sottile PM 2.5 e PM 10 rilevate dalle stazioni di monitoraggio. Durante il periodo di follow-up si sono verificate 440 aritmie ventricolari, delle quali 322 trattate con una stimolazione antitachicardica e 118 con uno shock per fermare la fibrillazione. Incrociando tutti i dati è emersa una chiara associazione tra gli eventi cardiaci e l'inquinamento: ad esempio, per ogni μg/m3 di PM 2.5 in più rispetto alla media aumentava dell'1,5 percento il rischio di aritmie ventricolari da trattare con lo shock. Quando l'inquinamento perdurava per una settimana oltre i livelli medi il rischio di aritmie aumentava del 2,4 percento. Anche l'aumento di PM 10 determinava un aumento del rischio di aritmie del 2,1 percento.

“Il nostro studio suggerisce che le persone ad alto rischio di aritmie ventricolari, come quelle con un ICD, dovrebbero controllare i livelli di inquinamento giornalieri”, ha dichiarato in un comunicato stampa la dottoressa Alessia Zanni. “Quando le concentrazioni di particolato PM 2,5 e PM 10 sono elevate (rispettivamente superiori a 35 μg/m 3 e 50 μg/m 3 ), sarebbe ragionevole rimanere all'interno il più possibile e indossare una mascherina N95 (equivalente alla FFP2 NDR) all'esterno, in particolare nelle zone di traffico intenso. Un purificatore d'aria può essere utilizzato a casa”, ha aggiunto la scienziata. “Il particolato può causare un'infiammazione acuta del muscolo cardiaco che potrebbe agire come fattore scatenante per le aritmie cardiache”, ha chiosato la dottoressa Zanni, sottolineando l'importanza di progetti ecologici per proteggere la salute delle persone. I dettagli della ricerca “Fine particulate matter exposure and risk of ventricular arrhythmias in patients with ICD” sono stati presentati durante il congresso Heart Failure 2022 della Società Europea di Cardiologia (ESC).

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