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Imperia, la cooperativa che impiega migranti per assistere i disabili e l’indegno show razzista

Non siamo più in grado di riconoscere quali siano le necessità, nascondendoci dietro ad un benaltrismo dannosissimo. Siamo bravi a proporre soluzioni, ma anche a rinnegarle quando queste vengono messe in pratica. Così la storia virtuosa di una cooperativa diventa terreno per dare sfogo ai più bassi istinti.
A cura di Iacopo Melio
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Passiamo giornate a lamentarci della scarsa empatia altrui quando poi, spesso, scambiamo il bene per il male. Ciechi per ignoranza e pregiudizi. E allora ci si sente impotenti, oltre che sconfortati. Così succede che una cooperativa di Imperia decide di far partecipare ventisei migranti ad un corso di formazione di due giorni. Si vuole insegnare loro le manovre basilari per assistere ragazzi disabili durante il viaggio in pullman che li accompagna al loro centro diurno. Sia chiaro: niente di delicato e nessuna procedura sanitaria associabile a infermieri e operatori socio sanitari, bensì puro accompagnamento, seppur con le dovute cautele e preparazioni, non solo per manovre fisiche (spostamenti da e con la carrozzina) ma anche per gestire episodi di crisi. Con la sicurezza del personale competente sempre accanto.

Eppure, reso pubblico questo progetto di integrazione, utile non solo ai migranti per includersi nella società ma anche ai ragazzi, per abituarli a socializzare e aprirsi ad estranei, sono immediatamente fioccati commenti razzisti carichi di odio e stereotipi di ogni tipo. C’è chi prevede il peggio: “Speriamo che non li violentino o ammazzino”, “Tanto lo sappiamo che tra un po’ qualcuno di questi combinerà qualche guaio”, “Così ruberanno e faranno di peggio con comodità”, fino a toccare picchi come “Ho paura che questi disabili non vivranno a lungo” e anche “Quando decideranno di farci saltare in aria ci sarete anche voi buonisti”.

C’è poi chi rivendica con patriottismo altre priorità: “E gli italiani che fine faranno?? Si faranno accompagnare da questi zombie?”, “L’unica domanda che mi pongo è perché questa gente debba avere diritto a un corso gratuito, pagato da noi, quando tanti giovani italiani vorrebbero le stesse opportunità”, e poi ancora “Per loro corsi gratuiti, per gli italiani senza lavoro niente, bel Paese!”, “È questione di diritti, ci son tanti dei nostri ragazzi in attesa di un posto”, “Ai nostri figli in depressione chi ci pensa?”.

Chi tira poi in ballo le competenze: “Gente che nemmeno parla italiano per assistere un disabile?”, “Io ho preso una laurea per fare ciò che fanno loro”, “Solo due giorni di formazione per assistere persone problematiche? Scherziamo??”. Chi sottolinea manovre politiche (assai dubbie) come “Loro hanno uno stipendio adeguato, noi dobbiamo lavorare fino 70 anni quando loro dopo 5 hanno diritto alla pensione!”. Fino alle conclusioni più sintetiche: “Non gli affiderei nemmeno un coccodrillo del Nilo”, “Per carità” e, infineUn ca**o di bella notizia”.

Nonostante aver premesso che le azioni richieste sarebbero state minime, paragonabili più a quelle di badanti o accompagnatori anziché a quelle di operatori, la cattiveria riversata a colpi di tastiera è stata impressionante. Ingiustificabile. Un fiume di frustrazione sfogata sfruttando un progetto che col dividere non ha niente a che fare. Perché se ogni giorno gran parte della società si lamenta dei flussi migratori e del pessimo sfruttamento di certe “risorse” (provocatoriamente messe tra virgolette da loro, sottendendo intolleranza), un'alternativa simile sarebbe dovuta essere accolta nel migliore dei modi, togliendo ragazzi dalla strada e impiegandoli in lavori socialmente utili. Quello che si è sempre chiesto, d'altronde. Oltretutto, sono state molte le famiglie in difficoltà a esprimere il bisogno di un supporto gratuito, non potendosi permettere un Caregiver con contratto di lavoro. E andare una giornata al mare o fare una passeggiata in centro a mangiare un gelato, dovrebbe richiedere volontà, motivazione e umanità individuale, non tanto qualifiche di chi si propone, magari, solamente per necessità economica.

La verità, forse, è che non siamo più in grado di riconoscere quali siano le necessità, nascondendoci dietro ad un benaltrismo dannosissimo. Siamo bravi a proporre soluzioni, ma anche a rinnegarle quando queste, finalmente, vengono messe in pratica. Perché ci sarà sempre qualcosa di più importante, tanto da innescare un meccanismo di cattiveria gratuita, diseducativa proprio per quei ragazzi, i nostri ragazzi, che dovrebbero imparare quanto un aiuto sia la ricchezza più grande che si possa ricevere, da qualunque parte arrivi. Fortunatamente però c’è anche chi, noncurante di certe opinioni, continua a garantire opportunità di cambiamento. Perché ha capito che il lavoro è la strada in pieno sole per aggiungere valore ad un Paese. Proprio quel Paese che continua ad accogliere, per dovere morale e civile, contro chi ritiene di avere le mani migliori, troppo pulite per allungarle.

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Laureato in Scienze Politiche (curriculum in "comunicazione, media e giornalismo"). Racconta le storie degli altri come giornalista, scrittore e attivista per i diritti umani e civili. Vincitore del Premio "Cittadino Europeo" nel 2017, è stato nominato "Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana" da Sergio Mattarella nel 2018.
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