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Immigrazione, ecco il boss dei trafficanti di esseri umani dalla Libia

Una giornalista di Sky News ha rivelato l’identità del capo dei trafficanti di esseri umani dalla Libia: è l’etiope Ermias Ghermay.
A cura di Davide Falcioni
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Ha un volto, un nome e un cognome l'uomo che organizza il traffico di esseri umani dalla Libia a bordo di barconi fatiscenti che spesso non riescono neppure ad arrivare a destinazione: si chiama Ermias Ghermay, è etiope, e a rivelare la sua identità è un'inchiesta condotta dalla reporter inglese Alex Crawford per conto di Sky, che cita fonti della polizia italiana e il magistrato Geri Ferrara, membro della direzione investigativa antimafia di Palermo e componente del pool che cerca di ostacolare il lavoro degli scafisti. Nel suo servizio la giornalista spiega che Ermias Ghermay è l'uomo più ricercato per quanto riguarda il traffico di esseri umani: più volte, negli ultimi anni, era stato intercettato dagli inquirenti italiani in conversazioni telefoniche con gli scafisti, compresi quelli arrestati nel luglio dell'anno scorso per la tragedia dei migranti morti a largo di Lampedusa nell'ottobre del 2013. "Inshallah! Così ha voluto Allah", diceva Ghermay senza alcuna pietà per le vittime. Ma le conversazioni intercettate sono oltre 3mila e spesso si parla proprio del traffico di esseri umani dal Nord Africa alle coste italiane.

Migranti vittime di torture e stupri prima degli sbarchi

Gli investigatori hanno scoperto inoltre "continue violenze fisiche e reiterate torture che hanno subito numerosi migranti, nonché i ripetuti stupri, anche di gruppo, cui sono state sottoposte diverse donne". Alex Crawford rivela nella sua inchiesta come le forze dell'ordine italiane stiano impiegando gli stessi strumenti utilizzati nei confronti di Cosa Nostra, con intercettazioni telefoniche che dimostrano come molto spesso dietro gli sbarchi ci sia la regia di Ghermay: l'uomo è collegato in modo diretto anche all'affondamento di un nave con 366 disperati a bordo a largo di Lampedusa nell'ottobre del 2013. L'etiope – come riporta Sky – discute "del naufragio con uno dei suoi contatti in Sudan: i due ne parlano con disinvoltura come di un piccolo danno collaterale del loro traffico internazionale di uomini". Ghermay – spiega il servizio giornalistico – dà poi "la colpa ai migranti di insistere sul voler attraversare il Mediterraneo in un momento giudicato da lui inopportuno" ed entrambi gli interlocutori si dicono "preoccupati per l'impatto che il naufragio sta per avere sulla loro reputazione e quindi sul ‘business'".

Dall'inchiesta dei magistrati italiani emerge anche come il lavoro di Ermias Ghermay non sia nuovo alle autorità libiche, ma che importanti funzionari di polizia di quel paese allo sbando ammettono di non avere i mezzi necessari per impedire che il traffico di esseri umani continui liberamente.

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