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Il video delle botte ad Antonio Stano e i commenti violenti: perché non riusciamo ad essere migliori?

La Polizia di Stato pubblica i video dell’aggressione di Antonio Stano, 66enne disabile ucciso a Manduria da una baby-gang, ricevendo commenti carichi di odio e violenza da parte dei lettori. Perché non riusciamo a rendere l’informazione uno strumento per migliorare la società, anziché una gogna mediatica?
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A cura di Iacopo Melio
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Viviamo sempre più in un clima di odio e giustizialismo. La politica, quella che si diverte a indossare divise per dare un’immagine di protezione e sicurezza ai propri cittadini, non invita certo ad utilizzare la ragione per affrontare temi scomodi e difficili. E così, alla rieducazione e al recupero di chi commette crimini e potrebbe diventare un cittadino migliore un domani, si preferisce la legge fai-da-te, ad esempio imbracciando un’arma o il più che sufficiente rancore.

Una rabbia che si distende a macchia d'olio e che ogni giorno emerge chiara dai commenti sui social network. Gli ultimi esempi si possono trovare sotto il video pubblicato dalla Polizia di Stato ritraente il branco degli “Orfanelli” di Manduria (Taranto) mentre pestano a pugni e sprangate Antonio Stano, 66enne con disabilità, dopo essergli entrati in casa sfondando la porta d’ingresso.

Ho scelto consapevolmente di guardare quelle immagini, già buie e mosse in partenza ma ulteriormente censurate nei volti dei ragazzi essendo quasi tutti minorenni: ho voluto sentire le grida di dolore e le richieste di aiuto urlate inutilmente da Antonio Stano non per una qualche forma di sadismo, ma perché credo sia importante infilarsi di petto dentro certi meccanismi perversi, provando a comprendere non solo cosa ci sia dall’altra parte ma anche cosa scatti dalla “nostra”, in tutta risposta. Mi spiego meglio.

Sebbene sia soggettivamente opinabile la scelta di rendere i video pubblici da parte della Polizia di Stato (mentre resta comprensibile quella dei giornali di riportarli, esattamente come qualsiasi altro materiale a prova necessaria di ciò che si vuole raccontare e si deve sostenere), resta decisamente meno tollerabile l’accanimento morboso da parte dei lettori che questi post generano, provocando ogni volta un effetto domino di bava alla bocca e sangue negli occhi. Per questo motivo non possiamo evitare la sete di vendetta che puntualmente il nostro Paese è pronto a sfoderare in un battito di ciglia: quella cattiveria che fino a due istanti prima sembrava non esistere, nascosta sotto al tappeto, mentre poco dopo manderebbe al patibolo anche un ragazzino di quattordici anni senza voler comprendere i motivi psicologici e le cause sociali che lo hanno portato a compiere un simile gesto.

Insomma, se da un lato Istituzioni e Media hanno una grande responsabilità quando comunicano un preciso messaggio, è pur vero che chi riceve non può ignorare il forte potere che gli è conferito nel recepire, elaborare e fare proprio quel dato messaggio: potere che deve essere utilizzato, appunto, per costruire con un lavoro di gruppo una società più civile, umana e rispettosa. Una società in grado di dare il buon esempio proprio per contrastare e ridurre gli episodi commentati. Peccato che ciò che abbiamo saputo dimostrare anche stavolta, in realtà, sia stato in buona parte questo:

“I genitori dovrebbero avere la loro bella dose giornaliera di schiaffi.”, “Giuro, li manderei alla sedia elettrica ‘sti maledetti.”, “Altro che fermi, giustizia e processi: ci vorrebbe la ghigliottina!”, “Vedendo questo video mi viene voglia di rompere il c**o a questi ragazzini e ai loro genitori.”, “Pena di morte subito.”, “Pure i loro genitori però devono crepare.”, "Visi coperti?? Vogliamo i loro nomi!!"

Cosa possiamo fare di buono, dunque, per far sì che ciò che viene veicolato non diventi ogni volta una gogna mediatica di astio e disprezzo, ma un'occasione per migliorarci? Perché sembra tanto difficile trasmettere il buon esempio ai nostri figli, dimostrando loro che siamo migliori di ciò che diffondiamo online e facendo capire che un bravo genitore non giudica né condanna i padri e le madri di chi sbaglia ma, al contrario, si mette in discussione ogni giorno in modo vigile e consapevole? Oppure, è tanto complesso educare, ad esempio, all'uso corretto di internet e del tempo libero stesso, anziché demonizzare un cellulare solo perché, per una "bravata per noia" (come ha osato definirla qualcuno…), sono stati girati dei video tanto disumani da diventare l'apripista per un vero e proprio omicidio?

Non posso dare risposte sicure. Ciò che è certo, è che Stano è morto insieme alla sua dignità qualora continueremo ad erigerci a giudici del web emettendo sentenze illegali, immorali e soprattutto non di nostra competenza. Lasciamo che sia chi di dovere a far sì che ciò che è successo ad Antonio non resti impunito. Per il resto, pensiamo a quello che di buono possiamo seminare giorno dopo giorno.

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Laureato in Scienze Politiche (curriculum in "comunicazione, media e giornalismo"). Racconta le storie degli altri come giornalista, scrittore e attivista per i diritti umani e civili. Vincitore del Premio "Cittadino Europeo" nel 2017, è stato nominato "Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana" da Sergio Mattarella nel 2018.
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