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Il viaggio dalla Libia all’Italia è “fatale” per i minori: nel 2016 sono morti in 700

Secondo un rapporto dell’UNICEF tre quarti dei minori intervistati che hanno percorso quella rotta hanno dichiarato di aver subito violenze e aggressioni da parte di adulti, abusi verbali o psicologici, circa la metà hanno raccontato di aver subito molestie sessuali, percosse o altre forme di violenza fisica – in particolare sulle ragazze.
A cura di Claudia Torrisi
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Abusi, violenze e sfruttamento sono all'ordine del giovno per i bambini e le donne migranti che attraversano la rotta del Mediterraneo centrale, dall'Africa Subshariana all'Italia, passando per la Libia: un tragitto che nel 2016 è stato la cusa di morte di 4.579 persone, fra cui 700 bambini.

Secondo un rapporto dell'UNICEF "Un viaggio fatale per i bambini: la rotta migratoria del Mediterraneo Centrale", tre quarti dei minori intervistati che hanno percorso quella rotta hanno dichiarato di aver subito violenze e aggressioni da parte di adulti, abusi verbali o psicologici; circa la metà di loro e delle donne, invece, hanno raccontato di aver subito molestie sessuali, percosse o altre forme di violenza fisica – in particolare sulle ragazze. Afshan Khan, direttrice dell'UNICEF per l'Europa e Coordinatore speciale per la crisi dei minori migranti e rifugiati nel continente, ha spiegato che la rotta del Mediterraneo Centrale "è tra quelle al mondo in cui muoiono più persone ed è tra le più pericolose per i bambini e le donne", poiché "è per la maggior parte controllata dai trafficanti e da altri individui che vedono come prede i bambini e le donne disperati che sono semplicemente alla ricerca di un rifugio o di una vita migliore". Per questa ragione "occorrono vie e piani di sicurezza sicuri e legali per proteggere i bambini migranti, per tenerli al sicuro e lontano dai trafficanti".

I dati raccolti dall'UNICEF in Libia a fine 2016 mostravano abusi e violenze ai danni di bambini e donne: al momento dell'indagine si stimava che vi fossero in Libia circa 256.000 migranti, fra cui 30.803 donne e 23.102 bambini (di cui un terzo non accompagnati), ma i dati reali potrebbero essere tre volte maggiori. La maggior parte dei minori e delle donne hanno raccontato di aver pagato i trafficanti all'inizio del viaggio, e di aver affrontato condizioni "durissime e degradanti" nei centri di detenzione in Libia gestiti dal governo o dalle forze armate, come poco cibo, sovraffollamento, pessima igiene. "Nessun bambino dovrebbe mai essere costretto a mettere la sua vita nelle mani dei trafficanti semplicemente perché non ha alternative", ha spiegato Khan, secondo cui vanno individuati "a livello globale i fattori all'origine delle migrazioni, e lavorare insieme per un solido sistema di passaggi sicuri e legali per i minori in movimento, siano essi rifugiati o migranti".

Per l'UNICEF ci sono alcuni punti d'azione imprescindibili per la tutela di minori migranti e rifugiati: proteggerli da sfruttamento e violenza, porre fine alla detenzione tramite una serie di alternative, mantenere unite le famiglie, rinconoscergli uno status giuridico che gli consenta di studiare, assicurare loro l'accesso ai servizi sanitari e sociali di qualità, intervenire sulle cause che producono i movimenti di massa, promuovere azioni contro xenofobia, discriminazione ed emarginazione dei bambini migranti e rifugiati, nei paesi di transito e in quelli di destinazione. Si tratta di misure che l'UNICEF ha chiesto con urgenza ai governi nazionali e all'Ue di adottare.

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