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Il siriano Khaled è candidato all’Oscar ma per gli Usa non può entrare nel Paese

Khaled Khatib è un videomaker di soli 21 anni e il suo documentario The White Helmets (I Caschi bianchi) potrebbe vincere una statuetta nella notte degli Oscar a Los Angeles. The White Helmets, candidato al miglior cortometraggio documentario, racconta la storia di tre membri dell’organizzazione Syrian Civil Defence, il corpo di volontari che da anni soccorre i civili vittime dei bombardamenti in Siria. Khaled purtroppo non potrà assistere alla cerimonia: all’ultimo momento il Dipartimento della sicurezza interna degli Stati Uniti gli ha negato l’ingresso nel Paese.
A cura di Mirko Bellis
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Khaled Khatib filmando un'operazione di salvataggio dei Caschi bianchi
Khaled Khatib filmando un'operazione di salvataggio dei Caschi bianchi

Dopo la nomination del documentario The White Helmets, a Khaled era stato concesso il visto per partecipare alla premiazione degli Oscar ma venerdì le autorità statunitensi hanno fatto sapere che il giovane videomaker non potrà entrare nel suolo americano. L’ordine esecutivo firmato da Trump – di fatto sospeso dopo la decisione della Corte d’appello federale di San Francisco ­– impediva l’ingresso ai cittadini di sette paesi a maggioranza musulmana, tra cui appunto la Siria. Ma nel caso di Khaled è stato il Dipartimento della sicurezza interna a bloccare il suo ingresso negli Stati Uniti. Il motivo: sono state riscontrate “informazioni pregiudizievoli” sul suo conto, una vaga espressione che comprende le semplici irregolarità del passaporto fino alle connessioni con il terrorismo. Khaled è stato fermato all'aeroporto di Istanbul per tre giorni mentre cercava di partire per Los Angeles.  In un tweet, si è detto dispiaciuto di non poter assistere alla notte degli Oscar, sottolineando però l'importanza del lavoro da fare in Siria:

Khaled aveva solo 16 anni quando è iniziata la guerra civile in Siria ma, invece di imbracciare un fucile come tanti suoi coetanei, ha preferito seguire con la sua telecamera i Caschi bianchi, il gruppo di volontari impegnato a salvare i civili dopo i bombardamenti. L’incontro in Turchia con il regista inglese Orlando von Einsiedel è stato determinante. Lo racconta lo stesso Khaled: “Nel novembre del 2015, Orlando von Einsiedel e la produttrice Joanna Natasegara ci hanno contattato per realizzare il documentario. Avevano visto le missioni di salvataggio che avevamo girato e volevano raccontare la nostra storia al mondo”. “Ho iniziato a lavorare con il regista ad Adana (in Turchia, ndr) durante l’addestramento dei Caschi bianchi. Dal direttore della fotografia Frank Dow ho imparato le tecniche di ripresa e montaggio per poter raccontare la storia”, ha scritto Khaled in un post pubblicato sulla pagina Facebook della Syrian Civil Defence, il nome ufficiale dei Caschi bianchi.

La passione di Khaled è nata vedendo il lavoro dei giornalisti stranieri accorsi per documentare la rivolta contro Bashar al Assad: “Sognavo anch'io di poter raccontare quello che stava accadendo attorno a me, la sofferenza della gente e della mia città, Aleppo”. “Quando ho visto il lavoro dei Caschi bianchi, ho capito subito che era questa la storia della Siria che volevo trasmettere al resto del mondo”, ha aggiunto. I quasi 3000 volontari che compongono i Caschi bianchi sono i primi ad accorrere per cercare di salvare i civili intrappolati sotto le macerie dopo un bombardamento. Hanno un motto preso dal Corano: "Chi salva una vita, salva il mondo intero" e da quando è iniziata la guerra civile hanno soccorso oltre 60.000 persone, moltissimi dei quali bambini. Hanno pagato un costo molto alto: 141 volontari sono rimasti uccisi nelle operazioni di salvataggio. I Caschi bianchi hanno vinto lo scorso anno il Right Livelihood Award (conosciuto anche come il premio Nobel alternativo) “per il coraggio eccezionale, la compassione e l’impegno umanitario a salvare i civili”. Il gruppo è anche candidato al premio Nobel per la Pace 2016.

“Ho iniziato a documentare il lavoro dei Caschi bianchi come volontario – prosegue Khaled ­– quando cadono le bombe seguo le squadre sul luogo del disastro, riprendo come usano le scavatrici, le gru o anche solo le loro mani per salvare le persone intrappolate”. “Cerco di concentrarmi sulle persone estratte vive, solo così riesco a mantenere la calma”, ha confessato. “E’ importante che il pubblico vedendo il film capisca che in Siria ci sono persone con i loro stessi desideri: pace, lavoro, famiglia e una vita senza la paura delle bombe. Spero che The White Helmets trasmetta questo messaggio”, ha scritto Khaled. Questo giovane videomaker, il cui sogno è di studiare giornalismo, non potrà essere presente alla cerimonia degli Oscar però ha già vinto il premio al coraggio e alla determinazione. “Vincere l’Oscar dimostrerà il sostegno del resto del mondo ai siriani. Il premio darà forza a tutti i volontari che ogni mattina si svegliano per correre verso le bombe”, ha concluso.

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