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Il “Realismo positivo” di Maurizio Ferraris

Da pochi giorni in libreria il nuovo saggio del filosofo torinese Maurizio Ferraris, instancabile divulgatore nonché rinomato docente universitario. Il volume fa seguito al precedente “Manifesto” in cui Ferraris pone le basi per un nuovo modello filosofico, accolto con grande favore all’estero ma aspramente criticato in patria.
A cura di Andrea Esposito
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È appena uscito per Rosenberg&Sellier il nuovo libro di Maurizio Ferraris dal titolo “Realismo positivo”, un saggio in forma di dialogo realizzato in collaborazione con il filosofo analitico Achille Varzi.

“Realismo positivo” è una sorta di corollario al precedente “Manifesto del Nuovo Realismo” (Laterza) che, all’inizio dello scorso anno, ha scatenato un dibattito (anche se sarebbe più corretto parlare di “case study” internazionale) che per quantità di contributi non ha equivalenti nella storia culturale recente.

Il “Manifesto”, da cui non possiamo prescindere per parlare del nuovo lavoro, è una sorta di consuntivo dei fenomeni storici, culturali e politici degli ultimi vent’anni e di vademecum per una nuova idea di filosofia. Ferraris, noto per la sua attività di divulgatore oltre che per i prestigiosi incarichi accademici che ricopre, traccia con indubbia chiarezza una parabola che, partendo dal post strutturalismo (prende in considerazione tanto Lyotard quanto Foucault, Lacan e Deleuze) giunge a definire le caratteristiche del nostro tempo, inteso come era dei “populismi mediatici”, vale a dire, una degenerazione, o se si vuole un “tradimento”, del discorso e delle promesse del postmoderno. A conti fatti, la sua posizione filosofica si definisce in contrapposizione, e come superamento, del cosiddetto “pensiero debole” che in Italia ha nella figura di Gianni Vattimo, peraltro mentore di Ferraris quando era ancora uno studente, ispirazione e orientamento.

In generale, le teorie esposte nel “Manifesto” possono essere considerate come una sintesi elaborata dell’intero percorso del filosofo torinese: dapprima orientato, come si diceva, al post strutturalismo che utilizzerà per mettere in discussione la ripresa del pensiero di Heidegger, avvenuta verso la fine degli anni 80 attraverso Gadamer ma anche lo stesso Vattimo, per poi dedicare molta parte della sua ricerca a Derrida e al decostruzionismo con due saggi fondamentali, come: “Ricostruire la decostruzione”, (Bompiani) e “Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce”, (Laterza).

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Il “Nuovo Realismo”, in definitiva, è un movimento filosofico che cerca di porre rimedio alla deriva ideologica del postmoderno, alla prassi ingannevole e mendace della relazione con il mondo che esso ha indotto, trovando un punto di sintesi, una sorta di sincretismo laico, tra Ontologia, Critica e Illuminismo. In particolare Ferraris si scaglia contro le derive del pensiero contemporaneo che, a suo dire, ha abbandonato i “fatti”, e con essi il mondo reale, cedendo al fascino delle “interpretazioni”.

In questa prospettiva, il nuovo saggio “Realismo positivo” propone una visione del mondo esterno come di un qualcosa che “resiste” (questa è una delle parole chiave) e si oppone ai nostri schemi concettuali tenendoli apparentemente in scacco. Ma questa “resistenza” non è vista dal filosofo torinese come un limite, e qui sta il cuore nel nuovo lavoro, quanto una risorsa o comunque una controprova dell’esistenza di un mondo solido e indipendente da cui non possiamo prescindere. Insomma un mondo inemendabile, insuperabile, che tuttavia, a partire dalla fine del secolo scorso, è stato gradualmente rimosso finendo pian piano per sparire. Una volta scomparso, ecco la deriva, ci ha lasciato in eredità la presunzione di poterlo modificare e trasformare a nostro piacimento, il che nel migliore dei casi ha prodotto degli “abbagli”, nel peggiore, violenza e soprusi (guerre in nome di principi giusti o guerre umanitarie).

È banale dirlo, ma conviene non dimenticarlo: è la realtà che salva, non l'illusione. Ed essere realisti non significa affatto accettare il mondo com'è, o sopportare rassegnatamente la rivolta delle cose che non vogliono andare per il verso giusto, quello immaginato da noi. È anzitutto capire che le cose esistono, e dunque indubbiamente resistono, ma nel farlo offrono inviti, risorse, possibilità. E che la possibilità più grande, che sta alla base di tutte le altre, è la condivisione di un mondo niente affatto liquido o svaporato, che offre il terreno solido su cui ci giochiamo tutto, a cominciare dalla nostra felicità o infelicità”.

In conclusione va ricordato che il tentativo di Ferraris di proporre un nuovo modello di pensiero, peraltro per mezzo di uno strumento come il “Manifesto” che volutamente si richiama a momenti di grande fibrillazione culturale e ideologica, ha ricevuto da parte di alcuni studiosi forti critiche o addirittura feroci stroncature: una su tutte il pamphlet dal titolo, “Il nuovo realismo è un populismo” di Di Cesare, Ocone e Regazzoni che denuncia l’estrema semplificazione condotta da Ferraris, il quale, a loro dire, banalizza alcune delle principali problematiche del pensiero contemporaneo a favore di un approccio “pop”. Anche se è da registrare che all’estero il Nuovo Realismo è stato ed è discusso in convegni e seminari e ha accolto, fino ad oggi, il favore di alcuni importanti filosofi continentali come Mauricio Beuchot, Markus Gabriel, Umberto Eco, Hilary Putnam e John Searle.

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