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Dialetti d'Italia

Il pischello: storia e significato del termine, dal dialetto romano alla letteratura

Il termine è ormai entrato nella lingua italiana con il semplice significato di “ragazzino”: ma la parola “pischello” racchiude una complessità culturale molto profonda, che ad un certo punto della storia s’intreccia con la letteratura.
A cura di Federica D'Alfonso
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Una scena del celebre film tratto dal romanzo di Pasolini "Una vita violenta" (1962).
Una scena del celebre film tratto dal romanzo di Pasolini "Una vita violenta" (1962).
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Non solo Napoli ha i suoi “scugnizzi”: anche il dialetto romano, specchio di una vivace cultura popolare, ha riservato ai ragazzini di strada una definizione ben precisa divenuta ormai famosa anche nella lingua italiana. Ci riferiamo al “pischello”: da semplice “bambino” fino a “giovane amante”, filtrando nelle parlate popolari metropolitane con il significato anche di “ladro” o di “furbo”, l’ampia rosa di significati attribuibili al pischello ha anch’essa una storia molto particolare, che si intreccia con la grande letteratura del Novecento.

Un’etimologia incerta

L’etimologia della parola non è del tutto chiara, ma è possibile che si tratti di un’antica deformazione del femminile latino “puella”, presente fin dal Settecento nelle parlate dialettali con svariati significati attribuiti anche al maschile. L’ipotesi dell’origine latina del termine spiegherebbe la presenza del pischello in molti altri dialetti italiani: da quelli umbro-marchigiani al piemontese, dove si parla di “pischerlo”, molte parlate regionali hanno fatto proprio questo termine con diversi significati.

Il termine si è velocemente diffuso anche nella lingua italiana, tanto da comparire per la prima volta nel dizionario Zingarelli nel 1994: questa diffusione è da attribuire soprattutto alla tv e alla letteratura che ha reso i pischelli i protagonisti di molte storie indimenticabili. Ed è proprio alla letteratura che bisogna guardare se si vogliono comprendere le mille sfaccettature del “pischello”: soprattutto, a Pier Paolo Pasolini.

Ragazzi di vita: i pischelli di Pasolini

L'orchestrina pareva a cottimo, e specialmente il pischello che suonava l'armonica, nero come un marocchino, e con una fila di denti, scoperti come quelli delle carogne dei gatti, che brillavano allegramente.

Pasolini utilizzò moltissimo il dialetto romano, con un’attenzione particolare alle parole: per questo lo stesso termine “pischello”, che oggi indicherebbe semplicemente un “ragazzo”, in quelle storie racchiude tutta una gamma di significati altri, diversi, non sempre facilmente traducibili. Accade spesso che Pasolini affianchi alla descrizione fisica dei suoi pischelli il racconto delle varie attività svolte. Si tratta spesso di giovani garzoni di bottega, di apprendisti alle prime armi impegnati non sempre in lavori leciti: “i quattro soldi che guadagnava facendo il pischello del pesciarolo, non gli bastavano”.

È così che Pier Paolo Pasolini racconta per la prima volta i pischelli delle borgate romane: nei suoi romanzi, da “Una vita violenta” a “Ragazzi di vita”, preludio dei grandi affreschi cinematografici di “Mamma Roma” e di “Accattone”, Pasolini ha racchiuso tutta l’umanità celata dietro una semplice parola. Ragazzini di strada, protagonisti di storie crude e a tratti tragiche: i loro modi di fare e di parlare sono divenuti strumento privilegiato attraverso cui raccontare un’epoca con tutte le sue sofferenze e contraddizioni.

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