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Il pentito Di Carlo: “Mafia e politica erano soci, mi chiesero di fermare Falcone”

Il pentito di mafia Franco Di Carlo racconta a Repubblica la sua versione sugli incontri avuti con alcuni esponenti dello Stato: “Così il capo della mobile e lo 007 mi chiesero aiuto per fermare Falcone”.
A cura di Susanna Picone
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“Cosa nostra non prende ordini da nessuno, ma le stragi hanno messo d’accordo più soggetti. Falcone e Borsellino erano un pericolo anche per chi nello Stato temeva la propria fine”: a usare queste parole è il pentito di mafia Franco Di Carlo, che in un’intervista al quotidiano Repubblica racconta la sua versione su alcuni incontri avuti con esponenti dello Stato. Di Carlo parla della trattativa Stato-mafia, ma dice anche che è riduttivo usare il termine “trattativa”. Perché Cosa nostra e politica – sottolinea il pentito – “hanno avuto un dialogo continuo, erano soci”. A proposito delle stragi di mafia e di Falcone spiega: “Non ho preso parte alle stragi e non le avrei condivise, ma ero in carcere e ho ricevuto visite da esponenti di servizi che mi hanno proposto un accordo per fermare Falcone”. Di Carlo parla del periodo precedente all’attentato all’Addaura del 1989: “Venne a trovarmi un emissario di un ufficiale dei servizi che era stato il mio tramite con il generale Santovito per tanti anni. Con lui c’era il capo della Mobile Arnaldo La Barbera, quest’ultimo non si presentò, ma assistette. Non lo conoscevo – spiega il pentito – lo riconobbi in fotografia in seguito”.

“Riina cerca qualcuno che continui la sua linea suicida” – Nel corso di quell’incontro il pentito dice che gli chiesero di “trovare il modo per costringere Falcone ad andar via da Palermo, a cambiare mestiere”. Così – continua il pentito – “mi spiego l’attentato dell’Addaura. Cercai un contatto, credo che abbiano trovato un’intesa”. Per Di Carlo l’idea di costruire Dia e Dna, di abbattere il segreto bancario, “rappresentavano una minaccia per chi, politici compresi, aveva condotto una lotta di facciata, accordandosi sempre con noi”. Un riferimento va anche a Totò Riina e al processo sulla trattativa Stato-Mafia. Sul capo di Cosa nostra dice: “Lo conosco, era certo di essere ascoltato, voleva far sapere che lui è il capo di Cosa nostra e che lo stragismo non è finito. È alla ricerca di chi continui la sua linea suicida”. Sui rapporti Stato-mafia, invece, il pentito dice che “non c’è stato un accordo soltanto sul 41 bis”. Che Cosa nostra e politica hanno avuto, appunto, un dialogo continuo.

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