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Il mestiere dell’insegnante: ecco da dove ripartire per una scuola che sia davvero “buona”

La scuola italiana ha subito notevoli cambiamenti da dieci anni a questa parte ed è divenuta, al contempo, un contenitore complesso di diversità e ed esigenze differenti: stare al passo non è sempre facile. Sono cambiati gli insegnamenti, sono cambiate le materie da insegnare, e cambia il rapporto della scuola col mondo del lavoro: ma gli insegnanti, dove sono? Qual è il loro ruolo nella scuola di oggi?
A cura di Federica D'Alfonso
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Taglio dei fondi, semplificazione dei corsi di studio e razionalizzazione delle risorse umane: sono queste le parole d’ordine che, oggi, caratterizzano il discorso intorno alla scuola e all'istruzione. Per i non addetti ai lavori (ma, in realtà, anche per chi cerca di districarsi nel complesso tessuto della legislazione scolastica) stare al passo con tutti i cambiamenti che la scuola italiana ha subito negli ultimi decenni è impresa non facile. Ed in questa complessa situazione gli insegnanti che fine hanno fatto?

Dal 2008: dieci anni di scuola italiana

Solo negli ultimi dieci anni la situazione della scuola è cambiata notevolmente: tanto è il tempo passato dalla riforma Gelmini, ad esempio, che ha costituito una delle fasi di più intensa legislazione in materia scolastica addirittura dal dopoguerra. Al di là degli specifici provvedimenti, come l’introduzione del maestro unico o la reintroduzione del voto di comportamento, le parole d’ordine generali che hanno dettato il passo della scuola a partire proprio dal 2008 sono state “razionalizzazione delle risorse”, “efficacia ed efficienza”, “semplificazione”, “valutazione delle competenze” e non più solo delle “conoscenze” e così via.

È a partire da tali considerazioni che si è costruita la scuola degli ultimi dieci anni: ma tali modificazioni sono davvero servite a semplificare la vita dei docenti e degli alunni? Hanno realmente ridotto il divario fra scuola e mondo del lavoro? Hanno davvero, in ultima analisi, “migliorato” la vita scolastica? Queste domande aleggiano ancora come una spada di Damocle su tutti coloro che ruotano attorno alle istituzioni scolastiche, dagli insegnanti alle famiglie.

E l’insegnante che fa?

Quando si parla di scuola si pensa sempre alla scarsità di aule, di risorse e materiali. Si pensa, ovviamente, alla qualità del tempo trascorso dagli alunni, ai percorsi di studi da portare avanti, alle scelte migliori per il futuro. Ma una delle cose a cui poco si è pensato è il ruolo dell’insegnante: in una scuola fortemente modificata rispetto a dieci anni fa quale la nostra, qual è il ruolo dell’insegnante che è, non dimentichiamolo, uno dei pilastri portanti dell’istituzione stessa?

Quando parliamo di “ruolo” parliamo anche delle possibilità offerte a chi, per amore di questo mestiere, ha scelto di intraprendere una strada da sempre non facile: possibilità che sono state per lungo tempo accantonate in vista della necessità di riformare altri aspetti della scuola. Sono cambiati gli insegnamenti, le conoscenze da trasmettere, le ore da dedicare, la modalità di relazione in classi sempre più multiculturali: ma gli insegnanti hanno avuto la possibilità di “adattarsi” e stare al passo con questa “nuova” (e buona?) scuola?

La risposta vien da sé se ci si ferma per un attimo a sfogliare le cronache politiche odierne: la scuola sembra aver fatto un passo avanti (se buono o cattivo lo capiremo forse fra altri dieci anni), ma ha lasciato indietro chi alla scuola ha scelto di dedicare la propria vita. Tanti sono gli esempi che si potrebbero fare: dai corsi di laurea che sempre meno rispondono alle esigenze didattiche reali costringendo i neolaureati ad integrare altri esami al loro già completo corso di studi, alle svariate possibilità di abilitazione che nel corso degli anni si sono susseguite senza soluzione di continuità (l’antica SSIS, il TFA, il nuovo FIT che pare sarà anch'esso abbandonato) creando un vero e proprio limbo infernale nel quale è difficile comprendere la strada giusta per uscire.

A questo status confuso sui requisiti di accesso si aggiunge la già enorme quantità di precari che faticano ad adattarsi alle sempre diverse regole di accesso, con un età media di circa 40 anni e circa 40 ore settimanali di lavoro delle quali solo la metà viene retribuita. Questo, se si vuole tralasciare l’altro lato della medaglia del lavoro da insegnante: ovvero la necessità di essere lucidi, al passo coi tempi, attenti alle esigenze degli alunni ma anche capaci di formarle, indirizzarle e inserirle nel mondo complesso di oggi. In ultima analisi, che siano proprio gli insegnanti le vittime di un sistema che non funziona?

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