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Il mercenario italiano della guerra dei Balcani: “Sono stato Dio, scopavo bambine e vecchie”

Dopo una vita tra verità e leggende, Roberto Delle Fave morì di cancro al cervello nel 2014. Ora un docu-film ne racconterà le gesta: “Spero che arrivi un cancro che mi faccia pagare le pene di tutti quelli che ho ammazzato” diceva. “Arkan? Il più grande. Hitler? Io ero più pazzo”.
A cura di B. C.
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Al limite tra leggenda e verità, la vita di Roberto Delle Fave, conosciuto per i suoi trascorsi da mercenario nei Balcani nelle file dell’esercito croato, è stata e sarà per sempre oggetto di polemica. Ora è diventata anche materiale per un docu-film. “Conduco una vita sregolata, mi piace bere e fumare. Spero che mi venga un cancro che mi faccia pagare le pene di tutti quelli che ho ammazzato” dice nella lunga intervista girata e montata dal regista torinese Tommaso Magnano sui racconti di quell’ex soldato scampato alle pallottole, ai bombardamenti con proiettili all’uranio impoverito e all’acciaio delle baionette è stato ucciso proprio da un male incurabile all’età di 46 anni: un cancro al cervello, che se l’è portato via nell’estate del 2014.Nel documentario Delle Fave racconta la sua vita, gli orrori che ha visto e che afferma di aver commesso, fino ai suoi ultimi anni di vita, durante i quali ha allevato serpenti nella sua casa di Bordighera, in Liguria.

Delle Fave partito come reporter (dopo qualche esperienza locale) per documentare la guerra in Jugoslavia, poi aveva abbandonato la macchina fotografica per imbracciare il fucile. Non ha mai negato di averlo fatto per soldi e di essere diventato un guerrigliero, uccidendo e rischiando di essere ucciso: “Il mio primo bambino l’ho ammazzato a Vinkovci…” ricorda nell’intervista. Un episodio che ha continuato a tormentarlo: “Noi pattugliavamo il quartiere. Quel bambino è uscito con un’arma giocattolo. Io non mi sono accorto che era un’arma giocattolo, ci ho girato il mitra e l’ho fatto ballare per tutta la durata dei trenta colpi del kalashnikov. Quando ti accorgi che un bambino di otto-nove anni non aveva un’arma vera, aveva un’arma giocattolo, credimi, la prima cosa che ti senti è che sei una merda. Poi dici: ma Dio dove c… era? Non per me, ma per quel bambino. Bastava un secondo di ritardo, che io giravo l’angolo. Non sarebbe successo. L’inchiesta l’ha definita una disgrazia ma per me potevano farne anche cinquanta, d’inchieste: non è stata una disgrazia, è stato un omicidio”.

 E nell’intervista si equipara al più grande dittatore della storia: “Hitler era un folle e invece io ero un pazzo”. E nobilita personaggi discutibili della storia: “Arkan, il più grande, il più figo, il migliore dei migliori, affascinante, spietato, determinato, un grande uomo d’affari!…”.  I suoi racconti, per chi vuole crederci e per chi no, sono sempre quelli: “Sono stato Dio, facevo il giorno e la notte, quello che volevo, scopavo le bambine e le vecchie, mangiavo quanto volevo mentre intorno si nutrivano di radici”.

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