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Il Lago d’Averno, fra storia e leggende: qui Virgilio trovò la porta dell’Inferno

Enea e Dante vi trovarono l’ingresso degli inferi e, in tempi ancora più remoti, le sue acque erano state teatro dello scontro fra Zeus e i Titani: il lago d’Averno ha ispirato per secoli poeti e scrittori con il suo suggestivo ed inquieto paesaggio, ma il suo nome fu legato anche alla storia militare romana e ad Augusto.
A cura di Federica D'Alfonso
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Il lago d'Averno in un dipinto di William Turner (1798).
Il lago d'Averno in un dipinto di William Turner (1798).

"Una spelonca profonda, protetta da un cupo lago e dalle tenebre dei boschi, sopra la quale nessun volatile poteva impunemente avventurarsi ad ali spiegate": così Virgilio, nel sesto libro dell’Eneide, descriveva il lago d’Averno. Le antiche geografie individuavano qui, nascosto fra le sue acque immobili e scure, l’ingresso degli inferi: qui per gli antichi romani i vivi incontravano i morti e qui, in tempi ancora più remoti, Zeus aveva combattuto la sua battaglia contro i Titani. Un luogo ancora oggi pieno di magia e con una storia affascinante, a metà fra mito e realtà.

La natura inquieta e il continuo movimento della terra che circonda le acque del lago ha suggestionato gli antichi tanto da divenire simbolo per eccellenza del regno di Ade: qui Annibale avrebbe compiuto sacrifici di sangue per conquistarsi il favore delle divinità del sottosuolo e qui Dante, ma anche Torquato Tasso e Leopardi, individuarono l’ingresso privilegiato all’oltretomba. Secondo Virgilio, protettrice dei boschi che ancora oggi circondano il lago era la terribile Ecate, regina degli spettri e dei demoni malvagi. Ed è qui che Enea, "con non timido passo", inizia la sua discesa nel regno dei morti alla ricerca del padre Anchise.

L’Averno: il lago senza uccelli

La discesa di Enea con la Sibilla agli Inferi dipinta da Bruegel il Giovane.
La discesa di Enea con la Sibilla agli Inferi dipinta da Bruegel il Giovane.

Suggestioni antiche e misteriose derivate, senza dubbio, dagli inspiegabili fenomeni naturali osservati già nell'antichità: lo stesso nome del lago spiega il motivo per cui, nemmeno nelle giornate più serene e limpide, nessun uccello volasse sulle sue acque o scegliesse un nido fra i suoi alberi. Secondo la leggenda che ha dato nome a questo luogo infatti, le esalazioni solforose emanate dallo specchio d’acqua (esalazioni che si credeva giungessero dal sotterraneo e infernale Acheronte) uccidevano all'istante qualunque volatile troppo audace: ecco perché l’Averno è un lago "aornòs", senza uccelli.

In questo luogo storia e leggenda si confondono, così come anche scienza e superstizione: perfino Galileo Galilei, al termine di lunghi studi sul territorio e complessi calcoli matematici, affermò che senza dubbio la porta dell’Inferno cantato da Dante doveva trovarsi lì, presso le acque dell’Averno. Non solo: la celebre “selva oscura” secondo Galilei, era proprio quella che circondava il lago arrivando fino alla Solfatara di Pozzuoli.

Un antico porto romano dimenticato

La fama leggendaria del lago d’Averno fu, in realtà, diretta conseguenza della centralità che il territorio flegreo aveva durante tutto il periodo romano: già ai tempi della guerra civile contro Pompeo quest’area fu estremamente rilevante dal punto di vista militare e in seguito, durante l’epoca augustea, il lago d’Averno divenne una delle basi navali più importanti dell’antichità.

All’alba dell’impero infatti l’Averno era un porto: costruito pressoché da zero da Marco Agrippa e ribattezzato portus Iulius in onore di Ottaviano Augusto, esso era parte di un grande scalo navale che comprendeva anche il Lucrino. I due laghi erano collegati fra di loro da un ingegnoso canale navigabile e da numerosi tunnel interrati che permettevano ai soldati di muoversi indisturbati.

Intorno al IV secolo però il porto era già stato quasi del tutto abbandonato, a causa dei frequenti bradisismi che avevano abbassato la linea costiera: Cassiodoro ci informa che ne V secolo le mura erano crollate e la maggior parte del materiale usato per costruirle era stato trasportato a Roma come materiale di recupero. Il porto viene completamente sommerso e dimenticato fino a quando, nel 1956, alcune fotografie aeree scattate dal pilota Raimondo Bucher non riportarono a galla la storia nascosta dietro le leggende.

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