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Il Devoto-Oli da 50 anni ci spiega l’italiano: una lingua fra neologismi e analfabetismo

Il celebre vocabolario compie 50 anni ma come sempre è al passo nello spiegarci la lingua italiana: una lingua viva, piena di neologismi, ma ancora minacciata dall’analfabetismo.
A cura di Federica D'Alfonso
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Il Devoto-Oli compie 50 anni.
Il Devoto-Oli compie 50 anni.

Che differenza c’è tra “attendere” e “aspettare”? Cosa sarà mai la “sferificazione”? È corretto dire assessora, sindaca o cancelliera? I dubbi, quando si tratta di lingua italiana, sono tanti. Il nostro stesso linguaggio quotidiano cambia talmente rapidamente, assorbendo centinaia di termini dalle lingue straniere, che usare correttamente le parole è diventata una vera e propria arte.

A ricordarcelo, uno dei “testi” più importanti della letteratura italiana: il vocabolario. Strumento indispensabile quando la confusione sugli apostrofi e gli accenti ci assale, quest’anno uno dei vocabolari più famosi della lingua italiana ha tagliato un importante traguardo: il Devoto-Oli ha compiuto 50 anni.

Questo manuale d’autore, pensato da Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, nasce nel 1967 come “vocabolario illustrato” per poi assumere la forma che tutti noi conosciamo. Una forma che, soprattutto negli ultimi decenni, si è adattata ai continui cambiamenti della lingua e della tecnologia risolvendo molti problemi.

Anche quest’anno, in occasione dell’importante anniversario, il Devoto-Oli torna a fare il punto della situazione sulla lingua italiana, aggiornandoci su molte novità passate forse inosservate ma profondamente significative, e perché no, ricordandoci anche l’uso un po’ dimenticato di certe espressioni.

L'hashtag invecchia mentre torna di moda la “post-verità”

Un vero e proprio “pronto soccorso linguistico”, come lo definiscono gli stessi autori, necessario per orientarsi nei migliaia di neologismi comparsi sulle nostre bocche ed evitare tantissimi errori grammaticali e d’uso che spesso trascuriamo.

Tra i 1500 neologismi introdotti solo quest’anno molto spazio è stato preso dai nuovi termini della politica, fra i quali senza dubbio spicca l’illuminante “post-verità”, tornato alla ribalta nel nostro lessico non a caso nel 2016 dopo circa vent’anni di quiete: il pubblico percepisce come veritiere le emozioni, le sensazioni e le impressioni destate da un determinato accadimento, e solo in secondo luogo si preoccupa di conoscerne la veridicità fattuale. Come sempre, la lingua non è suolo uno strumento, ma anche un’utile mezzo d’indagine della realtà.

Oltre ad altri termini politici molto noti come “Brexit”, termini economici come “bancare” o massmediatici come “fake news” e “food porn” sono ormai a buon diritto entrati nel nostro vocabolario. Il Devoto-Oli, oltre a spiegarne il significato, ci dice anche l’età delle parole individuando l’anno esatto in cui fanno la loro prima comparsa: scopriamo così, per esempio, che l’“hashtag” è già vecchio di otto anni.

Una parola tutt'altro che nuova: analfabetismo

Un utilizzo che, spiegano sempre gli esperti che curano il noto vocabolario, trova ancora molte difficoltà ad affermarsi nel modo corretto, anche fra i più giovani. Il 6% degli italiani soffre ancora di analfabetismo primario, mentre siamo già al 22% quando parliamo di analfabetismo di ritorno, ovvero della perdita progressiva delle competenze acquisite nel corso della vita: ma il dato più sensibile è quello dell'’analfabetismo funzionale, con ancora ad un drammatico 42% di popolazione che non usa in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nella vita quotidiana.

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