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Il cervello invecchia e perde colpi? In arrivo una soluzione

Le connessioni neuronali tendono ad essere meno attive con l’età ma potrebbero essere stimolate da un farmaco.
A cura di Nadia Vitali
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Brain exhibition in Bristol

Destino a cui vanno incontro più o meno tutti, con sfumature diverse ed atteggiamenti d'ogni sorta: ma è estremamente frequente, ad una certa età la memoria inizia a funzionare meno bene. Una regola che conta certamente le sue dovute eccezioni ma che, proprio perché non rara, meritava di non essere trascurata. Per questa ragione i ricercatori hanno deciso di individuare le ragioni della tendenza a dimenticare che la mente umana inizia ad avere quando è più avanti con gli anni.

Uno studio pubblicato su Proceedings of National Academy of Science ha dimostrato come effettivamente il cervello umano sia soggetto negli anni non solo all'invecchiamento ma addirittura al rimpicciolimento: un dato spiegabile con la perdita delle connessioni tra neuroni a cui si va soggetti procedendo con l'età. Il fenomeno della perdita di peso e volume  riguarderebbe gli esseri umani esclusivamente: sottoponendo a risonanza magnetica scimpanzé di età compresa tra i 10 ed i 51 anni e uomini tra i 22 e gli 88, è stato possibile appurare che la medesima cosa non accade  ai grossi primati, ipotizzando che si tratti, dunque, della riposta evolutiva all'allungamento della vita che riguarda la nostra specie.

Questa perdita di peso e di volume, che dopo gli ottant'anni si aggira addirittura intorno al 15%, riguarda soprattutto l'area del cervello in cui risiedono le funzioni cognitive ed esecutive più complesse, ovvero la corteccia frontale. Secondo uno studio pubblicato su Science monitorando l'attività dei neuroni prefrontali di animali di tutte le età nell'esercizio di compiti legati alla memoria, alcuni ricercatori hanno potuto osservare come gli esemplari più avanti negli anni dessero palesi segnali di "ritardo" a cui corrispondeva una diversa attività della rete neuronale. Regolando, tuttavia, l'ambiente neurochimico circostante i neuroni di detta area, di modo da riportarlo a come era negli anni della gioventù, la risposta nei soggetti è decisamente migliorata: la prova che si è vicini alla possibilità, magari, di poter scoprire il modo per preservare la memoria anche dopo la mezza età.

Il farmaco più promettente per lo scopo sembra essere la guanfacina effettivamente già usato per i deficit prefrontali nei bambini: un giorno potrebbe rivelarsi risolutivo per risolvere questo increscioso problema di numerose persone. Lo studio sta, infatti, proseguendo per verificare eventuali benefici che il composto potrebbe portare alla memoria di soggetti anziani, purché non affetti da vere e proprie patologie, come l'Alzheimer.

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