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Il calvario di Marco Penza, disabile incensurato in carcere per due birre (INTERVISTA)

Marco fu sorpreso alla guida di un’auto con un tasso alcolico equivalente a due birre, se la sarebbe dovuta cavare con un ritiro della patente eppure una serie di sfortunati eventi lo ha portato in carcere, nonostante la grave disabilità che gli ha causato l’amputazione di una gamba.
A cura di Alessio Viscardi
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marco penza

La storia di Marco Penza comincia nel luglio 2009, quando viene fermato da una pattuglia di carabinieri che gli riscontra un tasso alcolico di 1,1 – poco più di due birre. Parte un processo, che avrebbe dovuto concludersi con la semplice revoca della patente e una multa, ma per Marco comincia un ben peggiore calvario: le sue condizioni fisiche peggiorano -essendo lui già disabile- comincia un via vai dagli ospedali che si conclude con un'operazione che gli amputa una gamba, costringendolo a vivere con una protesi per deambulare. Fanpage lo incontra nella sua casa di Casalvelino, nella quale oggi sconta il resto della pena agli arresti domiciliari.

Il calvario infinito della sua disabilità non gli permette di seguire la causa, mentre l'avvocato delegato abbandona l'incarico per incompatibilità con una sua nomina, e il fascicolo di Marco si perde. Viene così condannato in primo grado, senza difesa, senza appello, senza richiesta di misure cautelari differenti dalla carcerazione. Nulla, trenta giorni di prigione, nonostante le condizioni fisiche dell'incensurato.

Il 21 agosto, Marco viene tratto in arresto e portato al carcere di Vallo della Lucania, assieme a condannati per violenza fisica e sessuale. Dall'oggi al domani, si ritrova a dover dividere la stanza con sette persone. Smentisce, però, che in carcere gli abbiano impedito di indossare la protesi – tuttavia, gli impediscono di portare il bastone che utilizza per muoversi, che sarebbe dovuto essere sostituito da uno fornito dall'infermeria. Ovviamente, non c'erano scorte. Così, per tutto il tempo della sua reclusione, Marco rimane immobile sul letto della cella.

Grazie all'aiuto dei suoi amici e familiari, dopo sedici giorni riesce ad ottenere gli arresti domiciliari da un magistrato appena rientrato dalle proprie ferie estive. Della sua reclusione, Marco ricorda le umiliazioni subite per richiedere dei semplici diritti: gli volevano imporre di spostarsi con le manette ai polsi, senza la possibilità di aggrapparsi ai bastoni, oppure di trascinarsi dietro il borsone con gli effetti personali. "Io sono una persona che ha cercato di vivere senza gravare sugli altri a causa della mia disabilità – ci confida Marco – Ma in questi giorni è stata totalmente schiacciata la mia dignità". 

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