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Il burocratese e le doppie negazioni: quando il bando diventa un gioco di enigmistica

I problemi del linguaggio amministrativo sono grandi e antichi, difficilissimi da scalfire: la nomea del burocratese è ben meritata. Ma c’è da tenere presente che questo linguaggio non è prodotto da strutture astratte: nessun ente ha altra bocca oltre a quella di chi parla a suo nome. Insomma, il burocratese lo fanno delle persone. Accorgersi di certi meccanismi linguistici un po’ perversi che trasformano un concetto semplice in una sfida enigmistica è utile e importante per la vita civile.
A cura di Giorgio Moretti
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Prendiamo un esempio del tutto arbitrario, banalmente il primo che mi è venuto sott'occhio: si tratta dell'Allegato 1 del "Bando per la concessione di contributi selettivi per la scrittura, lo sviluppo e la pre-produzione, la produzione, la distribuzione nazionale ed internazionale di opere cinematografiche e audiovisive – Art. 26 della legge n. 220 del 2016 – Anno 2018", redatto dalla Direzione Generale Cinema del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Penultimo punto dell'autocertificazione:

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Sintetizziamo: il soggetto richiedente […] non è qualificabile come impresa non europea: sì/no

Il linguaggio della pubblica amministrazione, per stile inveterato, tende a un uso disinvolto delle frasi che affermano negando. Pare probabilmente un uso più ricercato: se ciò che scrivi è importante è assolutamente necessario ritorcerlo e complicarlo, altrimenti è indegno. Così escono fuori frasi che sono ben più complesse da intendere rispetto a quelle pianamente affermative (oltre a quel che suggerisce intuitivamente il buon senso, ci sono studi autorevoli su quanto l'affermare negando rende meno comprensibile un testo). Sui modi in cui chi scrive può rendere negativa una frase ci si può sbizzarrire: dal versatilissimo non ai verbi di divieto ed esclusione, a una batteria di aggettivi negativi tutti dis-, tutti in-. Ma la gemma estrema in questa corona negativa è la doppia negazione.

Beninteso, l'affermare negando è un espediente retorico di grandissimo valore: quando serve ad attenuare giudizi e idee, è detto litote. Dopo lunghe insistenze vado al ristorante che non m'ispirava affatto, e in effetti è eccellente, ma per fare il sostenuto a chi me lo consigliava e mi chiede "Allora? Com'era?" rispondo "Non male". Se voglio minimizzare la considerazione della calura che ci opprime anche di sera, dico con nonchalance che "No, non è molto fresco". E quando il sugo della pasta ci viene insipido e slegato, amici troppo cortesi ci dicono "Non è il migliore che hai cucinato". Ma l'amministrazione pubblica difficilmente ha bisogno di espedienti retorici del genere. L'affermare negando è puro inutile vezzo.

La prima cura del linguaggio della burocrazia dovrebbe essere la chiarezza: trasformare una dichiarazione in un gioco da Settimana Enigmistica può essere divertente, ma non se ce lo troviamo su un modulo. Nel caso che abbiamo visto, una doppia negazione, viene chiesto se il soggetto richiedente NON è qualificabile come impresa NON europea, SÌ o NO. Anche ammettendo che la nozione di "impresa non europea" sia giuridicamente unitaria, insomma anche ammettendo che questa negazione abbia una sua ragion d'essere, anzi a maggior ragione se è così, la prima negazione non dovrebbe esserci. Anche perché dopo si chiede di dare un giudizio di verità o falsità sull'affermazione. Forme come "il soggetto richiedente […] è qualificabile come impresa europea: sì/no" oppure "il soggetto richiedente […] è qualificabile come impresa non europea: sì/no" sarebbero state estremamente più comprensibili.

Non serve molto per trasformare un testo facile in un testo difficile. Ma un'ampia letteratura di linee guida e di pubblicazioni accademiche ci mostra come non serva nemmeno molto per trasformare un testo difficile in un testo facile, chiaro, limpido, trasparente, come devono essere i provvedimenti amministrativi. Se vedete una doppia negazione, segnalatela! Le persone intelligenti dell'amministrazione a cui vi rivolgete ve ne saranno grate.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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