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Il Giappone dichiara guerra alle persone tatuate: ingresso vietato in un albergo su due

Secondo un recente studio diffuso dall’Agenzia del turismo giapponese, circa il 56% delle strutture ricettive presenti nel Paese – alberghi, pensioni e terme – vieta l’accesso alle persone tatuate. I tatuaggi vengono considerati da molti cittadini una mancanza di rispetto nei confronti dei genitori, oltre a essere comunemente associati al simbolismo della Yakuza, la mafia giapponese.
A cura di C. M.
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Vietati i tatuaggi nelle parti scoperte dalla divisa, né in quelle coperte se con contenuti osceni, discriminatori o razzisti. Stop anche ai piercing, la direttiva vuole “prevenire e contenere situazioni che incidono sul decoro dell’uniforme”.

Hai dei tatuaggi e vorresti visitare il Giappone? Rischi di non trovare un albergo o una pensione che ti accolga. Secondo un recente studio diffuso dall'Agenzia del turismo giapponese, circa il 56% delle strutture ricettive presenti nel Paese – alberghi, pensioni e terme – vieta l'accesso alle persone tatuate. L’Agenzia del turismo giapponese, conscia dell’impatto che questo atteggiamento potrebbe provocare a livello economico, ha stilato dunque una serie di misure per limitare i casi in cui ai turisti stranieri viene vietato l’ingresso ai tradizionali alberghi presenti sul territorio. Tra le varie misure introdotte, la distribuzione o la vendita di adesivi per coprire i tatuaggi, che consentirebbero ai visitatori stranieri di accedere alle aree termali senza mostrare i tanto temuti tatuaggi. Oltre agli adesivi, l’agenzia consiglia inoltre ai turisti "colorati" di accedere alle strutture termali nelle ore in cui sono meno frequentate dalle famiglie e di noleggiare cabine private.

Ma per quale motivo il popolo giapponese ha sviluppato quest'avversione, nonostante il Paese sia universalmente conosciuto per la Irezumi, l'antichissima arte del tatuaggio giapponese? I motivi sono essenzialmente due: da una parte, in Giappone i tatuaggi sono tendenzialmente associati alla Yakuza, la temibile organizzazione criminale del Sol Levante. Nel periodo Konfun, infatti, dal 250 al 300 d.C, i tatuaggi hanno iniziato ad assumere una connotazione negativa perché venivano utilizzati per marchiare e punire prigionieri e condannati. Successivamente, nel periodo Edo (1603 – 1868 d.C.), il loro significato oscillava fra il marchio di disonore, il semplice elemento decorativo o anche come simbologia religiosa e molte persone iniziarono a tatuarsi divinità per ricevere protezione dal suo potere. In epoca moderna, in Giappone come in occidente, i tatuaggi si sono trasformati in marchi associati al riconoscimento e all’appartenenza a bande malavitose e criminali come la mafia russa o la Yakuza. "Per il giapponese comune, dunque, il tatuaggio rimane sempre una sorta di stigmate, di marchio che simboleggia un qualcosa di profondamente pericoloso e da temere, sia che si tratti di un semplice cuoricino con all’interno il nome del proprio ragazzo, sia che si estenda lungo tutta la schiena come avveniva nei tempi antichi".

L'associazione con la mafia giapponese non è però l'unica motivazione che ha portato gli abitanti del Paese a "detestare" i tatuaggi. Secondo la tradizione locale, infatti, il corpo di una persona viene "considerato un dono offerto dai propri genitori, un qualcosa da proteggere e da custodire. Sporcare in maniera indelebile il dono offerto dai nostri genitori è considerata una mancanza di rispetto nei loro confronti e quindi un atteggiamento da evitare a tutti i costi. Se un abitante del Giappone dovesse comunque decidere di farsi un piccolo tatuaggio, sceglierà di imprimerlo sempre in un luogo in cui è possibile coprirlo facilmente e nasconderlo agli occhi accusatori delle altre persone. Il tatuaggio rimane sempre qualcosa di privato, e non deve mai diventare oggetto di vanto o una semplice esibizione di sé".

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