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“Ho ucciso più di 100 persone e non me ne pento”, la confessione di Khaled, killer dell’Isis

Da semplice organizzatore di pellegrinaggi a manifestante contro Assad fino a spietato assassino. Dopo essere stato arrestato e torturato nelle carceri del regime, l’unico obiettivo di Khaled è stata la vendetta. Una spirale di violenza che l’ha portato ad uccidere senza pietà più di 100 persone. La sua storia è stata raccontata in un documentario della Bbc.
A cura di Mirko Bellis
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Khaled durante l'intervista in cui confessa di aver ucciso 100 persone in Siria (Bbc)
Khaled durante l'intervista in cui confessa di aver ucciso 100 persone in Siria (Bbc)

Ho ucciso più di cento persone e non me ne pento… perché Dio sa che non ho mai ucciso nessun innocente”. Non c’è rimorso nelle parole di Khaled, il nome di fantasia di un ex ribelle siriano, poi passato nelle fila dell’Isis e infine fuggito per evitare di essere ammazzato. La spirale di violenza, che l’ha portato dalle manifestazioni di protesta contro Assad a diventare uno spietato killer, è stata raccontata dalla Bbc in un documentario sulla guerra in Siria.

Nel 2011, allo scoppio della rivolta contro il presidente Bashar al Assad, Khaled lavorava come organizzatore di pellegrinaggi. “Ero un po’ religioso, ma non in modo rigido – ricorda – ero un uomo di pace”. Anche lui è in piazza con migliaia di altri siriani a manifestare. “È stata un'incredibile sensazione di libertà mista alla paura del regime”, racconta ripensando a quel momento. Non erano armati, “perché non ne avevamo il coraggio”, sostiene.

Le forze governative reagiscono duramente: sparano, arrestano e picchiano chi protesta. E un giorno anche lui finisce in manette. “Mi hanno prelevato da casa e mi hanno portato al dipartimento di sicurezza criminale, poi in altre strutture di detenzione. Infine alla prigione centrale, dove sono rimasto un mese prima che mi rilasciassero”.

Saranno questi 30 giorni a segnare per sempre il suo destino. In carcere subisce le torture di una guardia che lo umilia e lo picchia senza sosta. Viene costretto ad inginocchiarsi davanti ad una foto di Assad mentre il suo aguzzino gli urla: “Il tuo dio morirà ma lui no. Dio muore, mentre Assad resiste”. “Sapevo che quando era il suo turno di lavoro sarei stato torturato”, ha detto Khaled alla Bbc. “Mi appendeva per le braccia al soffitto e mi frustava la schiena”. Quando ritorna in carcere, i suoi compagni di cella piangono nel vedere come l’hanno ridotto. “Giurai che se Dio mi avesse salvato non avrei avuto pietà di lui e l’avrei ucciso dovunque fosse”.

Una volta libero, Khaled è un’altra persona e sceglie la lotta armata. Nel 2013, si unisce al gruppo Ahrar al-Sham, una delle fazioni islamiste che in quel momento stanno combattendo contro l’esercito siriano. Viene mandato ad Aleppo dove diventerà uno spietato assassino. E’ un miliziano francese ad istruirlo all'uso delle armi: pistole, armi con il silenziatore, fucili da cecchino. Come bersaglio vengono usati i soldati del regime prigionieri dei ribelli. “I nostri istruttori li facevano uscire in gruppo e noi dovevamo uccidere solo la vittima indicata senza colpire gli altri, oppure dovevamo sparare da una moto in corsa”. Ma Khaled impara anche a pedinare, a ingannare, a sequestrare i nemici e chiedere un riscatto per la loro liberazione.

Finito il suo addestramento, decide che è arrivato il momento di vendicarsi del suo aguzzino. “Ho chiesto informazioni fino a quando non l’ho trovato. Quando ero in prigione mi aveva detto: ʽSe uscirai vivo da qui e mi troverai, non avere pietà di me’. E così ho fatto”. Dopo aver saputo dove viveva l’uomo, Khaled lo segue fino a casa e lo rapisce. “L’ho portato in una fattoria vicino al carcere. Prima gli ho tagliato le mani con un coltello da macellaio, poi gli ho strappato la lingua con le forbici. E non ero ancora soddisfatto. L’ho ucciso solo quando mi ha supplicato di farlo. L’ho torturato ma non ho nessun rimorso. Anzi, se tornassi indietro, lo rifarei”. “Se ci fosse stata un’autorità a cui rivolgersi – sottolinea – per denunciare che quell'uomo picchiava e umiliava i prigionieri, non avrei agito così. Ma non c’era nessuno da cui andare a lamentarsi e nessuno Stato per fermarlo”.

Ormai Khaled ha perso ogni fiducia nella rivoluzione. Abbandona Ahrar al-Sham e passa al Fronte al Nusra, la costola di al Qaeda in Siria. Sarà proprio uno dei capi di al Nusra ad inviarlo a Raqqa per spiare i rivali dell’Isis. Siamo nel 2014 e l'autoproclamato Stato islamico ha appena conquistato quella che diventerà la sua “capitale”. Hanno bisogno di uomini è Khaled è quello giusto. Diventa uno dei capi della sicurezza anche se il suo vero obiettivo è il doppio gioco. “Ho mostrato loro il mio volto più amichevole… ma di nascosto li rapivo, li interrogavo e poi li uccidevo”, racconta alla Bcc. Ma lo spietato killer elimina a sangue freddo circa 16 persone anche per conto dell’Isis. Dopo appena un mese, però, Khaled capisce che presto sarebbe arrivato anche il suo turno. Vedeva come i leader del sedicente Stato islamico non si facevano alcun problema ad assassinare quelli che fino ad un giorno prima avevano corrotto per passare nelle loro fila. Così prende una macchina e scappa a Deir ez Zor e da lì si rifugia in Turchia dove l’hanno incontrato i giornalisti della Bbc.

Quando gli viene chiesto se ha qualche rimorso o se teme di essere processato per quello ha fatto, Khaled risponde sicuro: “L’unica cosa a cui pensavo era come scappare e rimanere in vita”. Oggi l’ex sicario dell’Isis dice di essere un’altra persona. Da quando è fuggito dalla Siria afferma è “di nuovo un civile”. In lui non c’è alcun pentimento per quello che ha fatto: “Quando vedi qualcuno che ti punta una pistola, picchia tuo padre, uccide tuo fratello o i tuoi parenti, non puoi restare a guardare. La mia è stata autodifesa”. “Quando mi guado allo specchio – conclude – mi vedo come un principe e la notte dormo bene, perché chiunque mi abbiano chiesto di uccidere, meritava di morire”.

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