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“Hai mangiato, bello di mamma?”: perché le madri ci fanno sempre questa domanda

Non importa se stiamo facendo una telefonata intercontinentale o siamo appena rientrati dopo un colloquio di lavoro: la prima domanda di nostra madre sarà inesorabilmente: “Hai mangiato”? Ma dove e come nasce storicamente la preoccupazione materna per la nostra alimentazione?
A cura di Laura Di Fiore
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Non importa se stiamo facendo una telefonata intercontinentale o siamo appena rientrati a casa dopo un esame o un colloquio di lavoro: la prima domanda di nostra madre non sarà “ti stai divertendo?” o “com’è andata?” ma, inesorabilmente: “hai mangiato”? Ma perché le mamme (e le loro mamme, le nonne) si preoccupano costantemente della nostra alimentazione, anche quando – diciamolo – non possiamo definirci esattamente sottopeso?

Si tratta probabilmente di un’ossessione che arriva da lontano e che trova le proprie radici nella lunga storia della fame in Europa. Per diversi secoli, infatti, lo spettro della fame, con la minaccia di cicliche carestie, ha aleggiato sui popoli del continente, decimando le famiglie dei poveri e instillando il terrore in quelle dei ricchi. Soltanto a seguito del consolidamento dell’industrializzazione in campo alimentare, l’Europa sarebbe riuscita a lasciarsi alle spalle l’incubo costante della fame, quantomeno come esperienza generalizzata.

Il ricordo della fame sarebbe insomma ancora troppo recente ed è naturale che a raccoglierne il portato sia soprattutto la mamma, storicamente responsabile dell’alimentazione della famiglia. Nei primi secoli dell’età moderna la capacità della madre di produrre latte, ovvero il primo nutrimento per i propri figli, veniva considerata di natura divina e concepita come strumento per mettere in discussione le rigide gerarchie di genere all’interno della famiglia.

L’arte di cucinare poi veniva tradizionalmente considerata una prerogativa femminile, decisiva per contrarre un matrimonio. Alle donne erano perciò dedicati ricettari destinati a rivelare i segreti di una cuoca perfetta. In particolare, il ruolo della donna nella sfera domestica le affidava la responsabilità di assicurare il sostentamento della prole, oltre che una corretta alimentazione familiare. Così – ci raccontano le storiche Muzzarelli e Tarozzi –  a scendere in piazza durante i moti di fine Ottocento in Italia contro il rialzo dei prezzi del pane e della farina, furono proprio le donne. E se molte furono arrestate, non sempre vennero però condannate, perché alcuni magistrati ne riconobbero le rivendicazioni sulla base del loro ruolo a difesa della sopravvivenza dei figli.

Successivamente, negli anni della Grande Guerra, la propaganda per la limitazione dei consumi alimentari si rivolse direttamente alle protagoniste della cucina domestica, le donne, perché valorizzassero le risorse del proprio orto e dell’allevamento di conigli e galline o comunque, per le classi urbane, affinché utilizzassero in modo creativo le poche risorse disponibili. Secondo i consigli dispensati alle donne dalle pagine dei giornali nazionali, la penuria di prodotti non doveva infatti minacciare il decoro della tavola, che con fantasia e abilità andava assicurato.

Attualmente invece, a fronte dei cambiamenti (ancora purtroppo parziali) nelle relazioni di genere e nel ruolo della donna, cosa ancora resta ad agitare l’animo delle mamme riguardo al cibo? La memoria tramandata della paura della fame oppure un resistente senso di responsabilità per l’alimentazione della prole? Proviamo a chiederglielo oggi  mentre le festeggiamo, possibilmente mangiando tanto, a dispetto del modello che per secoli ha richiesto che le donne cucinassero molto ma mangiassero poco.

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Nata nel 1979, vivo a Napoli e ho due gemelli. Sono ricercatrice in storia, (al momento) a Bologna, e ho pubblicato due monografie: Alla frontiera. Confini e documenti di identità nel Mezzogiorno continentale preunitario (Rubbettino 2013) e L’Islam e l’impero. Il Medio Oriente di Toynbee all’indomani della Grande guerra (Viella 2015).
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