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Giulio Regeni: quelle menzogne sono un’ulteriore tortura

Ripercorrere l’anno che è passato dopo la morte di Giulio Regeni è un viaggio tra le menzogne di un inqualificabile Egitto che ha cercato di propinarci false verità. E intanto la verità, quella vera, manca ancora.
A cura di Giulio Cavalli
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La sua ultima orma è un sms inviato alle 19.41 del 25 gennaio 2016, un anno fa. Giulio Regeni era appena uscito dalla sua casa nel quartiere Dokki di Giza e con quel messaggio avvisava la fidanzata che stava arrivando, li aspettava la festa di compleanno di un amico, dalle parti di piazza Tahir. Il 25 gennaio, al Cairo, non è un giorno come tutti gli altri: è il giorno dell'anniversario della rivoluzione del 2011, quella che portò prima alla caduta di Mubarak e poi all'ascesa dei Fratelli Musulmani e la polizia raddoppia le forze e le attenzioni per bloccare sul nascere eventuali iniziative contro il governo di Abdel Fattah al Sisi. Quel giorno, Giulio Regeni, studente impegnato in Egitto per un dottorato dell'università di Cambridge sui sindacati autonomi dei venditori di strada, sparì.

Il corpo fu ritrovato solo 9 giorni dopo. L'autista di un furgone notò il cadavere riverso in un fosso sulla strada di Giza. Da quel giorno iniziò il balletto di depistaggi e di bugie del governo egiziano. Mentre la prima autopsia (eseguita in Egitto) parlava di un "morte lenta" con "segni di tortura" il vice capo delle indagini disse al mondo che Giulio Regeni era morto in un incidente stradale. Teniamolo a mente: è importante per soppesare questa storia.

L'autopsia svolta in Italia smentisce la tesi egiziana: secondo i medici italiani la morte dello studente è avvenuta per la rottura del collo. Sul corpo vengono trovati tagli, ematomi e abrasioni fatti in momenti diversi, fratture alle mani e ai piedi, denti rotti e lettere scolpite sulla sua carne. Ma non c'è solo la prima autopsia a coprire l'Egitto di vergogna: la polizia di al Sisi permette agli inquirenti italiani di interrogare solo per pochi minuti i testimoni (e sempre in presenza di autorità egiziane) e "dimentica" di acquisire le immagini delle telecamere di sicurezza per tempo cosicché alla fine le immagini risultano già "sovraregistrate". Perse, insomma.

L'Egitto, caduta la non credibile ipotesi di una morte dovuta a incidente stradale, cominciò quindi a parlare di progetto di sabotaggio internazionale: la morte di Regeni, dicono, sarebbe stata orchestrata con l'intento di ostacolare i rapporti commerciali tra Italia e Egitto (che intanto, per inciso, proseguono a gonfie vele). Nelle trasmissioni televisive egiziane comincia anche a imperversare uno squallido personaggio che addirittura accusa il governo italiano di conoscere l'identità dell'assassino di Regeni. Anche il Presidente al Sisi parlò di un cospirazione messa in atto dai suoi avversari politici per colpire l'economia locale e rovesciare la sua stagione politica. Ma non è finita, no.

Il 24 marzo il Ministro dell'Interno egiziano dice che il caso Regeni è risolto: ad ucciderlo sarebbe stata una banda di quattro criminali specializzata nel travestirsi da poliziotti, rapire gli stranieri e derubarli. Vengono anche fatti ritrovare alcuni effetti personali appartenenti a Regeni: il suo passaporto, la sua carta d'identità, una carta di credito e il libretto universitario. Non ci crede nessuno. E nessuno dal governo egiziano seppe spiegarci perché una banda di rapinatori avrebbe dovuto torturare Regeni per una settimana.

Siamo all'ultima tesi: il governo egiziano ha ammesso di avere indagato Regeni per i suoi rapporti con i sindacati degli ambulanti. Il capo del sindacato dei venditori ambulanti, Mohammed Abdallah, ha ammesso di avere incontrato Regeni e di essere rimasto indispettito dalla sua troppa curiosità e, proprio per questo, di averlo segnalato alle autorità egiziane. Spunta anche un video di Regeni (girato da una microcamera nascosta in un bottone di Abdallah, evidentemente messa a disposizione dalla polizia egiziana).

E siamo a oggi. Ed è passato un anno. Un anno che è una tortura per i famigliari di Giulio. E manca ancora la verità.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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