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Ucraina, nel cuore della resistenza di Lviv: “Noi universitari pronti a combattere contro i russi”

Il nostro reportage nel cuore della resistenza ucraina, a Lviv gli studenti universitari hanno chiuso i libri e si sono messi a disposizione della resistenza contro i russi.
A cura di Backstair
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– di Salvatore Garzillo e Davide Arcuri, da Lviv

In Ucraina si combattono due guerre. Quella iniziata il 20 febbraio 2014 con lo scontro per lo status della Crimea e delle repubbliche separatiste del Donbass; e quella cominciata il 24 febbraio 2022 con l’invasione improvvisa della Russia. In realtà è lo stesso conflitto mai interrotto ma 8 anni di distanza creano una separazione più profonda delle trincee scavate al fronte. Il nostro viaggio inizia passando la frontiera di Medyka, una delle porte d’accesso dalla Polonia, da cui centinaia di migliaia di ucraini e residenti stranieri scappano dopo giorni di cammino affrontando pioggia, neve e stomaco vuoto. Ma c’è anche un flusso in ingresso, che varca il confine per andare a combattere contro gli invasori russi. Vassily è uno di loro. Lo incontriamo al valico, le guardie di frontiera ci chiedono di dargli un passaggio fino a Lviv, da dove prenderà un treno che lo porterà in prima linea. “Sono un ex militare ma da decenni lavoro in un cantiere navale in Polonia – racconta dal sedile posteriore, schiacciato dal suo enorme borsone mimetico – Mia moglie e i miei figli sono ancora nell’est, devo farlo per loro. L’esercito mi darà un fucile, io so sparare. Non ho paura, l’Ucraina vincerà”. Dalla frontiera a Lviv sono meno di 100 chilometri ma il viaggio è lungo, oltre 7 ore per superare i tanti checkpoint. Barricate e uomini armati (per lo più cittadini entrati nelle milizie) controllano documenti e bagagliaio. Non tolgono mai la mano dal Kalashnikov.

Vassily sparisce nel caos della stazione gremita di profughi in attesa di salire sul primo treno verso l’Europa. Intanto Lviv freme, ribolle di rabbia e si organizza per resistere, soprattutto dopo che le bombe sono cadute a 50 km da qui colpendo la base militare di Yavoriv. I protagonisti sono i giovani, non solo i soldati spediti al fronte ma gli universitari che restano in città. Chiusi i libri di teoria si preparano a scrivere la Storia e i loro professori, poco più grandi, diventano le menti organizzative e logistiche. Gli appartamenti diventano le basi operative dove raccogliere e smistare centinaia di pacchi pieni di strumenti tecnologici (droni, visori termali, radio, power bank) e tattici (elmetti, giubbotti antiproiettili, occhiali per cecchini).

“Per me la resistenza non è solo sul fronte”, racconta Kostantin, docente universitario per passione (lo stipendio è di circa 250 euro al mese) e traduttore per necessità. “La resistenza è un dovere civile che deve coinvolgere tutti, anche chi non vuole imbracciare un fucile. Come me”. Irina, la sua compagna, è più determinata. “Il nostro imperativo è: sono qui ora e faccio tutto quello che c’è da fare”.

Gli studenti di Kostantin la pensano come lei, anche se hanno paura non possono restare fermi. In attesa di riprendere il percorso di laurea hanno trasformato la sala mensa dell’università in un deposito di aiuti. “Vorrei tanto andare a combattere – confessa uno di loro – ma non posso sparare perché ho un problema alla vista”. Altri compagni ci vedono benissimo e all’interno di una ex fabbrica di birra ormai abbandonata fabbricano molotov come in una catena di montaggio. “Ne produciamo 1.500 al giorno, abbiamo dovuto chiedere consigli ai nostri professori di chimica del liceo per trovare una formula efficace”, racconta una delle leader, 21 anni e una brillante carriera universitaria nel campo dell’informatica.

La guerra cambia regole e vite, come dimostra una fonderia a qualche chilometro di distanza. In tempo di pace producevano sculture in ferro monumentali, opere d’arte richieste in tutto il mondo. Ora gli artisti sono diventati operai che trasformano il metallo in cavalli di Frisia, strisce chiodate e triboli per fermare i mezzi dei russi. “Siamo passati dall’arte alla guerra in un attimo, lavoriamo senza sosta anche 12 ore al giorno. È il nostro modo per aiutare i ragazzi al fronte”, racconta l’anziano capomastro. La legge marziale consente agli over 60 di uscire dal Paese ma lui ha scelto di restare. A suo modo è uno straordinario combattente.

Anche le donne possono scappare ma è difficile lasciare tutto e partire, per molte la paura di perdere i propri affetti è più forte del timore delle bombe russe. Nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù, alla periferia di Lviv, decine di donne recitano il rosario mentre intrecciano una lunghissima coperta mimetica che servirà per coprire armi, mezzi e trincee al fronte. I bambini riducono coperte e lenzuoli in lembi che vengono annodati su un telaio di nylon. L’operazione va avanti anche durante la messa.

Nel centro di Lviv, invece, un altro parroco celebra messa accanto all’altare per i caduti di quella guerra iniziata nel 2014. La stessa guerra con morti diversi. “Cari fratelli, andate in pace. Vi auguro un cielo senza missili sulle teste”.

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