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Perché l’Iran ha condannato a morte due attiviste per i diritti gay

Sono Zahra Sedighi Hamedani ed Elham Choubdar, di 31 e 24 anni, le due attiviste condannate a morte. Entrambe colpevoli, secondo l’accusa, “di diffondere la corruzione nel mondo”.
A cura di Lorenzo Bonuomo
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Zahra Sedighi Hamedani (Amnesty International Twitter)
Zahra Sedighi Hamedani (Amnesty International Twitter)

Grave attacco alla libertà e ai diritti umani, in Iran, da dove giunge la notizia della condanna a morte nei confronti di due attiviste per i diritti dei gay. Si tratta Zahra Sedighi Hamedani, 31 anni, ed Elham Choubdar, 24 anni. La sentenza è stata emessa dal tribunale di Urmia, capitale della provincia dell'Azerbaijan occidentale, nel nord-ovest del Paese. Contro le due attiviste è scattata l'incriminazione e poi la condanna per "diffusione della corruzione sulla terra".

Secondo la Shari'a, le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso sono considerate un reato penale, punibile con pene che vanno dalla fustigazione alla pena di morte. In una breve dichiarazione, la magistratura iraniana ha confermato l'emissione delle condanne, mentre le due si trovavano nel carcere femminile della città.

"Questa è la prima volta che una donna viene condannata a morte in Iran a causa del suo orientamento sessuale", rende noto Shadi Amin, coordinatore di 6Rang, organizzazione iraniana per la difesa dei diritti delle persone LGBTQ con sede in Germania. Lo stesso attivista, a nome dell'organizzazione, chiede un deciso intervento da parte del suo Paese e del resto della comunità internazionale, volto a far pressione sull'Iran nella speranza di ottenere il rilascio delle due condannate.

Il calvario di Zahra: perseguitata in patria per aver difeso i suoi diritti

Zahra Sedighi Hamedani, blogger 31enne nota come "Sareh", è stata arrestata lo scorso 27 ottobre 2021 dalla Asayish (l'Agenzia primaria di sicurezza e intelligence del governo regionale del Kurdistan), nei pressi del confine con la Turchia, con l'accusa di aver tentato di lasciare illegalmente il Paese e di aver collaborato con i media ostili. La giovane stava cercando di scappare dal Paese, dopo essere apparsa nel maggio 2021 in un documentario della BBC sugli abusi e le persecuzioni della comunità LGBTQ nella regione del Kurdistan.

Secondo 6Rang, dopo l'arresto Sareh "è stata sottoposta a intensi interrogatori per 53 giorni, accompagnati da abusi verbali, minacce di morte e insulti diretti alla sua identità e al suo aspetto", si legge in una nota. Le forze dell'intelligence dell'IRGC della Repubblica Islamica hanno poi preso il controllo dell'account Telegram della donna, modificando la sua immagine del profilo e inviando minacce ai suoi follower (circa 1200 la momento dell'arresto). Dopo i 53 giorni di isolamento, riferisce Amnesty International, la donna è stata trasferita nel carcere di Urmia.

Il 27 luglio di quest'anno, oltre di 55 organizzazioni internazionali hanno rilasciato una dichiarazione per chiedere il suo rilascio immediato. Questa – secondo 6Rang – è la prima volta che un membro incarcerato della comunità LGBTQ iraniana riceve un sostegno di tale portata su scala globale.

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