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Ogni ora un uomo viene ucciso o ferito da mine inesplose: la metà sono bambini

Secondo il rapporto delle Nazioni Unite sulle mine antiuomo nel 2018 6.897 persone sono rimaste uccise o ferite a causa dell’esplosione di questi ordigni, che ostacolano in modo significativo la rinascita delle comunità colpite dalle guerre.
A cura di Davide Falcioni
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Le mine anti-uomo mietono ancora una vittima ogni ora. A rivelarlo è l'ultimo rapporto delle Nazioni Unite dedicato a queste armi, secondo cui nel 2019 6.897 persone sono rimaste uccise o ferite a causa dell'esplosione di questo tipo di ordigni, così come di altri residuati bellici. Circa il 54% delle vittime coinvolte sono bambini, spesso incuriositi dai resti di esplosivi, munizioni a grappolo ed altri pezzi di armi da guerra. L'alto numero di vittime "si registra nei paesi coinvolti in conflitti armati, in particolare in Afghanistan, Mali, Myanmar, Nigeria, Siria e Ucraina". In particolare sono state 1.600 le vittime segnalate in Afghanistan e più di mille in Siria.

Riguardo le vittime, il dossier segnala che da quattro anni il loro numero è “eccezionalmente elevato”. Nel 2018, le persone uccise sono state 3.059 e quelle ferite 3.837, in totale 6.897 vittime, quasi il doppio rispetto alle 3.457 registrate cinque anni prima, nel 2013. L’aumento sarebbe collegato ai conflitti e alle violenze su larga scala che hanno interessato Afghanistan, Mali, Myanmar, Nigeria, Siria e Ucraina. Le deflagrazione si sono comunque verificate in 50 Stati e altre aree. Le vittime sono per il 71 per cento civili, di cui oltre la metà, 45 per cento, sono bambini. Dall’inizio delle attività di monitoraggio, nel 1990, sono state registrate 130 mila vittime, di cui 90 mila superstiti, sovente con gravi mutilazioni. Sono cifre in difetto, dato che spesso le persone protagoniste di incidenti non vengono registrate a causa di situazioni di conflitto in corso o di instabilità sociale o di sottosviluppo.

Spiega il rapporto Onu: “Sia le mine terrestri che i residuati bellici rappresentano una seria e continua minaccia per i civili. Queste armi si trovano su strade, sentieri, campi agricoli, foreste, deserti, lungo i confini, nei pressi di case e scuole circostanti e in altri luoghi dove le persone conducono le loro attività quotidiane. Negano l'accesso al cibo, all'acqua e ad altri bisogni di base e inibiscono la libertà di movimento. Inoltre impediscono il rimpatrio dei profughi e degli sfollati interni e ostacolano l'invio degli aiuti umanitari”. “Queste armi – prosegue il Rapporto – infondono paura nelle comunità, i cui cittadini spesso sanno di camminare in aree minate, ma non hanno la possibilità di coltivare altri terreni o prendere un'altra strada per andare a scuola. Quando la terra non può essere coltivata, quando i sistemi sanitari sono prosciugati dai costi per le conseguenze delle mine e degli altri ordigni esplosivi e quando i Paesi devono spendere denaro per lo sminamento piuttosto che pagare per l'istruzione, è chiaro che queste armi non solo causano spaventose sofferenze umane, ma sono anche una barriera letale allo sviluppo sostenibile e alla ricostruzione postbellica”.

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