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Nessuna cura per i migranti, così Avin è morta col bimbo in grembo al confine Polonia-Bielorussia

Avin Irfan Zahir è morta dopo settimane di agonia col suo bimbo in grembo, lasciando orfani gli altri cinque figli bloccati col padre al confine tra Polonia e Bielorussia.
A cura di Antonio Palma
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Come tanti altri disperati, era rimasta in quel limbo drammatico che è diventata la foresta al confine tra Polonia e Bielorussia dove non c’è nessuna cura per migranti, costretti nascondersi e privi di ogni tipo di diritto e sostegno, e lì Avin Irfan Zahir è morta dopo settimane di agonia col suo bimbo in grembo, lasciando orfani gli altri cinque figli. È la terribile storia di una 39enne curda irachena che, dopo un lunghissimo viaggio con il marito e i suoi figli, ha trascorso giorni al confine di quell’Europa che non riesce a trovare una soluzione al dramma dei migranti: prima tre giorni nella foresta bielorussa e poi quattro nel bosco polacco.

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Sono rimasti nascosti per giorni per timore di venire rimandati indietro e le condizioni della donna hanno iniziato a peggiorare. Anche se non passava di certo inosservata col pancione, Avin infatti è stata individuata per la prima volta solo l’11 novembre scorso e solo dai volontari di Fundacia Dialog, un’organizzazione umanitaria di ispirazione cattolica che l’ha immediatamente assistita provvedendo finalmente al trasporto in ospedale. Al momento dell’arrivo in ospedale, però, per il piccolo che portava in grembo da sei mesi era già ormai troppo tardi. Per i medici era morto già da una ventina di giorni ma in tutto questo tempo nessuno ha dato una mano alla trentanovenne.

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La donna, già sofferente, si è aggravata ed è rimasta ricoverata per settimane prima che una infezione la portasse via per sempre venerdì scorso senza mai più rivedere marito e figlio. A loro non è stato concesso nemmeno di salutarla per l’ultima volta perché per le autorità non hanno diritti, nemmeno umanitari. "Non ce l'ha fatta, le temperature toccavano i 27 gradi sotto lo zero quando l'abbiamo trovata e soccorsa. Ci sentiamo impotenti per l'immane tragedia che ha colpito questa famiglia curda” scrivono dalla Ong che ora sta cercando di prendersi cura del marito e dei figli dell’uomo, ospitati finalmente in una struttura di accoglienza dove hanno finalmente avuto il permesso di visitare la tomba di Avin.

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