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Proteste in Iran dopo la morte di Mahsa Amini

Lettera dell’attivista iraniana dal carcere: “Torturata per ore e presa a calci per farmi confessare”

La lettera dell’attivista iraniana Sepideh Qolian dal carcere di Evin, a Teheran, dove sta scontando una condanna a 5 anni per aver preso parte ad uno sciopero nella provincia del Khuzestan: “Gli inquirenti vogliono che confessiamo a tutti i costi. Ho sentito i suoni della tortura, ma ora quelli della rivoluzione sono più forti”.
A cura di Ida Artiaco
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Sepideh Qolian è una delle più famose attiviste iraniane per i diritti umani. Al momento, si trova rinchiusa nel famoso carcere di Evin, a Teheran, dove sta scontando una condanna a cinque anni per aver agito "contro la sicurezza nazionale" dopo aver sostenuto uno sciopero nella provincia iraniana del Khuzestan.

Dalle mura della prigione, dove ogni giorno arrivano decine di manifestanti fermati dopo aver preso parte alle proteste scoppiate dopo la morte della 22enne Mahsa Amini, ha scritto una lettera, pubblicata dalla BBC, in cui denuncia le modalità utilizzate dalle guardie del regime per estorcere ai detenuti le confessioni. Un trattamento che l'attivista definisce "brutale".

"Nel quarto anno della mia prigionia posso finalmente sentire i passi della liberazione da tutto l'Iran – ha scritto Sepideh, che in carcere sta continuando a studiare Legge, riferendosi alle manifestazioni non governative in atto nel Paese -. Gli echi di ‘Donna, vita, libertà' possono essere ascoltati anche attraverso le spesse mura della prigione di Evin".

Nella sua lettera descrive come l'ala "culturale" di Evin, quella dove sostiene gli esami, sia stata trasformata in un'area per "torture e interrogatori", a cui ha assistito lei stessa. Fa riferimento, in particolare, ad un episodio verificatosi lo scorso 28 dicembre. "Faceva freddo e nevicava. Vicino alla porta di uscita dell'edificio c'era un ragazzino bendato, che indossava una sottile maglietta grigia, seduto davanti ad un inquirente. Tremava e supplicava, ripeteva che non aveva picchiato nessuno, ma l'altro voleva che confessasse".

Finora, almeno 519 manifestanti – tra cui 69 bambini – sono stati uccisi e 19.300 arrestati, secondo l'agenzia di stampa degli attivisti per i diritti umani (HRANA). Migliaia sono stati imprigionati. Di questi, a decine rischiano la pena di morte, e quattro di loro sono già stati impiccati. Le autorità negano, ovviamente, queste affermazioni.

Nella sua lettera, Sepideh Qolian ricorda anche il proprio interrogatorio e confessione forzata nel 2018, dopo essere stata arrestata per aver sostenuto lo sciopero e la protesta dei lavoratori in una fabbrica di zucchero nella provincia iraniana del Khuzestan. "Mi ha interrogato una donna, credevo che sarebbe stato meglio, almeno non mi avrebbe aggredito sessualmente. Invece, ha preso a calci la gamba e ha gridato ‘tu puttana comunista, con chi sei andata a letto? Scrivilo su questo foglietto".

Qolian si è rifiutata, il tutto ripreso dalle telecamere. Dopo ore di interrogatorio, ha implorato di essere portata in bagno. A quel punto la donna l'ha spinta dentro e l'ha chiusa a chiave. Da qui poteva sentire un altro detenuto che veniva torturato e frustato. "I suoni della tortura sono continuati per ore o forse un giorno, ho perso la cognizione del tempo", si legge nella sua lettera. Alla fine, è stata costretta a confessare un crimine che non aveva commesso ed è stata condannata a cinque anni di carcere.

Qolian ha concluso la sua lettera descrivendo le proteste come una "rivoluzione. Oggi i suoni che sentiamo per le strade di Marivan, Izeh, Rasht, Sistan e Balouchestan e in tutto l'Iran sono più forti dei suoni nelle stanze degli interrogatori, questo è il suono di una rivoluzione, il vero suono della donna, della vita, della libertà".

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