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Iran, manifestante 18enne condannato a morte. Funzionario giustizia: “Indagare su stupri in carcere”

Il 18enne Arshia Takdestan è stato condannato a morte dal regime iraniano per aver partecipato alle manifestazioni di protesta in Iran. Intanto alti funzionari della giustizia chiedono che venga fatta luce sulle violenze nelle carceri nei confronti dei detenuti.
A cura di Chiara Ammendola
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Arshia Takdestan (Twitter)
Arshia Takdestan (Twitter)

Si chiama Arshia Takdestan, il ragazzo di 18 anni condannato a morte in Iran dal tribunale rivoluzionario di Mazandaran. L'accusa, così come per i tanti altri detenuti arrestati durante le manifestazioni di protesta delle scorse settimane, è di "guerra e corruzione".

La notizia è stata diffusa da Mizan, l'agenzia di stampa giudiziaria iraniana, e poi ripresa da Bbc Persian. Il giovane manifestante è stato fermato dalle forze di sicurezza iraniane mentre protestava per le strade della città di Nowshahr. Si tratta dell'ennesima condanna a morte da parte del regime islamico nei confronti di chi è sceso in piazza per manifestare il proprio dissenso nei confronti del regime.

Mentre cresce anche il tema della violenza da parte delle forze di polizia nei confronti dei detenuti, in seguito alle denunce di violenza e torture all'interno delle carceri. Accuse che sono state smentite dal servizio penitenziario iraniano lo scorso dicembre che ha poi minacciato di sporgere denuncia contro chiunque diffondesse tali informazioni.

La stessa agenzia Mizan ha poi riportato un'altra notizia che riguarda l'appello da parte di un alto funzionario della giustizia iraniana che avrebbe chiesto al pubblico ministero di indagare sulle accuse di stupro e violenza sessuale contro i detenuti. “L'assistente per gli affari internazionali della magistratura e segretario del comitato per i diritti umani, Kazem Gharibabadi, ha chiesto al procuratore generale del paese di svolgere un'indagine dettagliata sulle accuse di violenza sessuale e stupro nei confronti di alcuni detenuti", si legge su Mizan Online.

Martedì il portavoce dell'autorità giudiziaria, Massoud Setayechi, si era rammaricato della "falsa affermazione" su presunte "molestie sessuali nei confronti delle donne detenute" rilanciata "da alcuni media ostili" alla Repubblica islamica.

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