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Talebani a Kabul: le ultime news sull'Afghanistan

I fantasmi di Kabul: la vita delle donne afgane dopo un anno di regime talebano

Da quando sono tornati al potere i talebani, in Afghanistan sono state uccise più di 350 donne: studentesse, attiviste, politiche, giornaliste. Era una mera illusione credere che i talebani, una volta al governo, avrebbero trattato le loro donne come ci saremmo aspettati.
A cura di Luigi Chiapperini
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Mentre nel mondo occidentale molti di noi erano in vacanza per il ferragosto (le Feriae Augusti istituite dall’imperatore Ottaviano Augusto per inglobare in un unico periodo di feste sia le celebrazioni per il Dio protettore dei raccolti Consus che quelle per il ratto delle sabine) esattamente un anno fa i talebani festeggiavano a modo loro tornando al potere a Kabul dopo venti anni.

Il loro raccolto non era il grano dei romani ma il papavero da oppio locale mentre le sabine erano le loro stesse donne che, al contrario delle matrone romane, vedevano la storia tornare indietro di venti anni.

Un anno fa proprio a Fanpage.it dichiaravamo che noi occidentali avevamo fatto una scelta errata ritirandoci dall’Afghanistan in quanto i tempi non erano ancora maturi.

Abbiamo illuso e poi lasciato soli gli afgani a metà di un lungo e faticoso percorso consentendo di bruciare in pochissimi giorni le speranze di un futuro che iniziava ad essere meno buio dei decenni precedenti. È una posizione che alcuni analisti considerano da “persona con il cuore di cioccolata”, ma in realtà il non aver continuato in uno sforzo finanziario e militare, che tra l’altro ormai era diventato minimale rispetto ad altre aree del mondo, ha prodotto danni che appaiono irreparabili non solo di immagine (sarà difficile fidarsi di noi in futuro) ma anche relativamente alla sicurezza mondiale.

Pochi giorni fa, infatti, gli USA con un’azione militare condotta con un velivolo armato a pilotaggio remoto hanno ucciso a Kabul Al Zawahiri, capo dell’organizzazione terroristica transnazionale Al Qaeda. Cosa ci faceva Al Zawahiri in Afghanistan in un edificio appartenente ad uno degli esponenti di spicco della famigerata rete Haqqani, alleata dei talebani e quindi al governo?

I talebani erano tornati al potere dopo gli accordi di Doha con gli USA, promettendo che avrebbero combattuto il terrorismo, governato coinvolgendo tutte le componenti sociali del paese e rispettato il diritto di tutti “secondo le leggi coraniche”. Appunto: i terroristi sono ancora lì, tra l’altro con la potente rete Haqqani che, ritenuta molto vicina all’organizzazione terroristica transnazionale Al Qaeda, vede incredibilmente il suo capo ricoprire la carica di ministro degli Interni.

Tutto questo mentre alcuni strati sociali stanno patendo moltissimo per le politiche in atto che con i diritti fondamentali definiti dall’ONU poco hanno a che vedere.

Sempre un anno fa concludevamo affermando che le donne sarebbero state quelle che avrebbero patito maggiormente nel caso in cui i talebani avessero applicato integralmente la sharia e che non si poteva escludere una guerra civile.

Qual è la situazione ad un anno esatto dalla presa di potere dei Talebani?

Ahmad, figlio del comandante dell’Alleanza del Nord Ahmad Shah Massoud, supportato da altri leader della repubblica afgana abbattuta dai talebani come Amrullah Saleh, continua a condurre azioni di guerriglia essenzialmente nel Panjshir con qualche migliaio di miliziani del suo National Resistance Front mentre anche le donne continuano a far sentire la propria voce di dissenso anche se meno veementemente rispetto ai primi mesi dopo la presa del potere da parte dei talebani.

Può sembrare poca cosa, ma per gli ottimisti sono i semi che potrebbero in futuro portare i frutti sperati.

Ma anche per i nuovi governanti non sono tutte rose e fiori. Si sentono isolati dal mondo e hanno problemi economici molto gravi.

È per questo che gli scorsi 25 e 26 luglio una delegazione talebana guidata dal Ministro degli Esteri afgano Amir Jan Muttaqi ha partecipato nella capitale dell'Uzbekistan, Tashkent, a una conferenza internazionale con tema "Sicurezza dell'Afghanistan, crescita economica e connettività regionale".

La conferenza è stata la seconda da quando i Talebani hanno preso il potere, dopo quella di Oslo, in Norvegia, che peraltro non aveva prodotto risultati concreti.

Una ventina di Paesi hanno tentato ancora una volta di verificare lo stato delle relazioni con il movimento fondamentalista.

Ciò in quanto i Talebani continuano ad essere oggetto di critiche da parte della comunità internazionale e delle Organizzazioni non Governative, che denunciano il mancato rispetto della promessa di istituire un governo inclusivo che protegga i diritti umani delle minoranze e della popolazione vulnerabile del Paese.

Da ciò che è trapelato sinora, non sembra che la conferenza abbia portato grandi novità, con i talebani che al momento non intendono recedere dal loro intento di conformare la politica ai dettami coranici, naturalmente secondo la loro personale interpretazione.

Prima che il loro regime cadesse nel 2001, le donne non potevano lavorare, né uscire di casa senza essere accompagnate da un uomo di famiglia. Non esistevano diritti. Negli anni Novanta le bambine non potevano frequentare la scuola dopo aver compiuto 8 anni.

Negli ultimi vent'anni molte cose erano cambiate, con le donne diventate circa il 50% degli studenti e alle quali venivano riconosciuti molti, anche se non tutti, i diritti previsti dall’ordinamento giuridico internazionale, in particolare quelli disciplinati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite con la  “Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne” (CEDAW) del 1979.

Un percorso faticoso intrapreso in una nazione che durante la presenza delle forze internazionali e grazie alle elezioni democratiche svolte prima della presa del potere da parte degli “studenti coranici” era riuscita a guadagnare ben venti posizioni nella classifica mondiale dello sviluppo umano.

Tutto ciò è avvenuto nell’arco di una sola generazione che per qualcuno, le cosiddette “persone dal cuore d’acciaio”, doveva però essere sufficiente a cambiare tutto. Non essendoci riusciti, sempre secondo i duri e puri, sarebbe stato inutile restare ancora perdendo tempo e risorse.

La realtà dei fatti ci dice che dalla firma degli accordi di Doha e da quando sono tornati al potere i talebani, sono state uccise più di 350 donne: studentesse, attiviste, politiche, giornaliste. Quindi era una mera illusione credere che i talebani, una volta al governo, avrebbero trattato le loro donne come ci saremmo aspettati.

Erano circa 700 le giornaliste afgane prima del 2021, ora sono solo un centinaio.

Se inizialmente avevano loro consentito di operare a volto scoperto, ora devono andare in onda coperte, come un fantasma. È il caso di Khatera Ahmadi, conduttrice di Tolo TV, una delle televisioni “indipendenti” afgane.

Khatera Ahmadi (Twitter).
Khatera Ahmadi (Twitter).

Donne fortunate, queste, mentre altre hanno perso il lavoro e molte trovandosi nella condizione di vedove non hanno potuto nutrire i propri bambini tanto che l’ONU parla di circa 14.000 bambini morti per malnutrizione e altrettanti venduti per far sopravvivere gli altri figli.

Ci sono tante storie da raccontare, come quelle di Sahraa Karimi, regista ed ex direttrice dell’Afghan Film organization, rifugiatasi in Italia e che ora insegna alla Scuola nazionale di Cinema di Roma.

Sahraa Karimi (Facebook).
Sahraa Karimi (Facebook).

Oppure Lamar Zala, giovane studentessa e attivista di Kabul che, forse, potrà iscriversi all’università americana di Kabul. Forse, perché le nuove leggi non consentono alle ragazze di frequentare le scuole superiori. Sinora Lamar è stata tra le fortunate che sono riuscite a studiare facendolo online, quando ancora c’era l’elettricità e la connessione Internet.

Ora i talebani hanno portato da 8 a 12 anni l’età massima consentita alle ragazze afgane per poter studiare, che poi è l’età che considerano giusta per mandarle in sposa a uomini più anziani anche di decine di anni che dovranno seguire per strada completamente coperte dal burqa e mantenendosi a qualche metro di distanza, ubbidienti come devono fare i cani ammaestrati e sottomessi.

Quei fantasmi di Kabul ora forse ci considerano tutti dei “cuori di acciaio” che li hanno sacrificati sull’altare della “realpolitik”, di quel pragmatismo senza neanche uno dei sentimenti tipici di quelli con il “cuore di cioccolato”. Continueranno a non capire perché sia accaduto tutto questo e a sperare che un giorno tornino almeno quelli con il cuore normale.

Loro e i mujahidin di Masooud continueranno a mantenere viva la speranza di un futuro migliore.

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Generale di Corpo d'Armata dei lagunari Luigi Chiapperini, già pianificatore nel comando Kosovo Force della NATO, comandante dei contingenti nazionali NATO in Kosovo nel 2001 e ONU in Libano nel 2006 e del contingente multinazionale NATO su base Brigata Garibaldi in Afghanistan tra il 2012 e il 2013, attualmente membro del Centro Studi dell’Esercito e autore del libro Il Conflitto in Ucraina (Francesco D’Amato Editore 2022).
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