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Non solo la Catalogna: ecco quali sono tutti i fronti caldi dell’indipendentismo in Europa

Dopo il referendum a Barcellona e dintorni dello scorso 1 ottobre, è tornato d’attualità il tema delle aspirazioni di secessione di alcuni popoli del Vecchio Continente: dalla Scozia al Belgio, dalla Francia alla Germania, ecco la mappa delle altre “Catalogne” d’Europa.
A cura di Ida Artiaco
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Con la vittoria del "Sì" al referendum di Catalogna, con il quale domenica 1 ottobre più del 90% dei votanti di Barcellona e dintorni ha chiesto ufficialmente che venga riconosciuta l'indipendenza della regione dalla Spagna, è tornato all'attenzione delle cronache europee il desiderio di autonomia di alcune popolazioni. D'altronde, non sono pochi i paesi dell'Unione che oggi potrebbero far valere per se stessi il principio di autodeterminazione dalla madre patria, rimarcando differenze linguistiche, culturali ed economiche. Se i fronti più caldi sono concentrati proprio nella Penisola iberica, tra Galizia e Paesi Baschi, non bisogna sottovalutare le spinte all'indipendenza che arrivano dalla Scozia, dalla Baviera, dalla Corsica, dalle Fiandre e anche da alcune regioni italiane. Ecco, di seguito, una mappa dell'Europa dove sono più forti i movimenti autonomisti o secessionisti, alcuni dei quali in passato hanno fatto anche ricorso all'uso della forza.

Galizia e Paesi Baschi in Spagna

Non solo la Catalogna. La Spagna è tra i paesi europei quello che ha visto e vede svilupparsi al suo interno una serie di movimenti indipendentisti che proprio grazie al risultato del referendum di Barcellona potrebbero tornare a rivendicare con forza la propria autonomia. È la parte settentrionale della Penisola a dare maggiori grattacapi a Madrid. Ma mentre l'Aragona, dove da sempre il nazionalismo si batte affinché sia riconosciuta la storia, la lingua e la cultura della regione, chiede più libertà al governo di Madrid, ma non si sognerebbe mai di uscire dalla Spagna, sono stati i Paesi Baschi a rappresentare da sempre una minaccia per il governo centrale, anche per il terrorismo dell'Eta (acronimo per Euskadi Ta Askatasuna), il braccio armato dell’indipendentismo ormai neutralizzato. I baschi hanno una propria lingua, l'euskera, considerata la più antica d'Europa, un proprio inno nazionale e una propria bandiera. Ora chiedono anche loro che si vada al voto per decidere se restare o meno con Madrid. Spinte autonomiste arrivano anche dalla Galizia, la regione di Santiago de Compostela: tuttavia qui il nazionalismo negli anni ha subito scissioni e si è indebolito, anche se l'obiettivo comune rimane invariato, e cioè la difesa della lingua e della cultura galiziana.

Irlanda del Nord e Scozia nel Regno Unito

Anche l'Irlanda del Nord coltiva il sogno di un referendum per l'uscita dal Regno Unito, chiesto a gran voce nei mesi scorsi dal movimento indipendentista locale, il Sinn Fein. Quella di Belfast è una aspirazione all'indipendenza che ha radici profonde, che risalgono al tempo della guerra d'indipendenza contro l'Inghilterra di inizio Novecento, tornata in auge dopo la vittoria della Brexit nel 2016, quando la maggior parte dei cittadini di questa regione si dichiarò contraria all'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea. Per tutti questi anni è rimasta legata alla corona inglese, nonostante il resto del paese, la Repubblica d'Irlanda, abbia conquistato una sua indipendenza nella prima metà del secolo XX. Il passato, però, è stato macchiato dal sangue di numerosi innocenti a causa del confronto armato tra Ira (Irsh Republican Army) ed esercito britannico. Dopo migliaia di morti e decenni di lotta armata, nel 2005 l'organizzazione paramilitare ha sospeso le azioni violente. Da non sottovalutare neppure la questione Scozia: è vero che qui nel 2014 il 55% della popolazione respinse l'uscita dalla madre patria nel corso del referendum, ma, anche in questo caso, la Brexit potrebbe rimettere tutto in discussione.

Baviera in Germania

C'è chi ha parlato, in questa florida regione della Germania, di Bayxit. Anche qui è stato chiesto un referendum per l'indipendenza da Berlino. Ma la Corte Federale ha già dato parere negativo sulla consultazione: la Grundgesetz tedesca proibisce, infatti, ai Land di decidere in solitaria la propria scissione. I bavaresi, ricchi e scontenti, minacciano altre azioni, ma per il momento restano uniti. Per cui, anche se le spinte autonomiste non mancano, sembra attualmente scongiurata qualsiasi azione di rottura nei confronti del governo centrale. Anche perché in caso di secessione, la Germania perderebbe una delle sue aree più dinamiche, dato che il Pil bavarese è al secondo posto a livello federale, dopo quello del Baden-Wüttemberg, e circa dodici milioni di cittadini.

La regione delle Fiandre in Belgio

In Belgio, che può essere considerato una babele in miniatura, tante sono le lingue riconosciute, l'obiettivo della Nieuw vlaamse alliantie (Nuova alleanza fiamminga) è quello di trasformare la regione delle Fiandre in uno stato sovrano e indipendente. Un desiderio che nel corso del tempo è aumentato sempre di più, come dimostrano i risultati delle elezioni politiche degli ultimi anni, dove i nazionalisti hanno guadagnato sempre più terreno rispetto ai partiti tradizionali. Stesso discorso vale per la Vallonia, altra regione caratterizzata, come la prima, da una propria lingua e cultura, oltre che da una grande ricchezza economica. Un tratto distintivo dei territori che chiedono di rendersi indipendenti è proprio la grande disponibilità di risorse. Che sia soltanto un caso?

La Corsica in Francia

Un'isola lontana anche fisicamente dal governo centrale di Parigi, con una sua lingua, il corso, e alle spalle più di 40 anni di rivendicazioni. Stiamo parlando della Corsica, che ha più volte accusato la Francia, a cui è stata annessa alla fine del Settecento dopo la dominazione genovese, di trattare questa regione allo stesso modo con cui venivano gestite le colonie oltremare, rappresentando un altro fronte caldo in Europa dal punto di vista delle secessioni. Qui le spinte all'autonomia sono spesso sfociate nella violenza. Sono in totale più di 10mila gli attentati commessi negli ultimi anni, e centinaia gli omicidi, che l'hanno resa tra le zone più pericolose d'Europa. Solo nel 2016 il Fronte di Liberazione Nazionale Corso ha terminato le operazioni militari senza però deporre mai le armi. Un sentimento, questo, che non si è assopito col tempo. Anzi, oggi il movimento nazionalista è maggioritario e lo scorso anno ha richiesto a Parigi il riconoscimento ufficiale della lingua e della nozione di "popolo corso" all'interno della legislazione francese, oltre alla concessione dell'amnistia per i combattenti in carcere.

Cosa succede in Italia?

Anche in Italia ci sono dei movimenti indipendentisti che rivendicano la propria autonomia, basandosi soprattutto su palesi differenze linguistiche e culturali nei confronti della madrepatria. Si concentrano soprattutto nei territori settentrionali e si tratta di regioni che nella maggior parte dei casi hanno già ricevuto concessioni dallo Stato, con il riconoscimento di "regioni a statuto speciale". Ecco, di seguito, i casi più famosi:

  • Sudtirolo: si tratta di un territorio alpino strappato all'Austria dopo la Prima Guerra Mondiale, che, nonostante le concessioni fatte da Roma, come il riconoscimento dell'autonomia amministrativa della provincia di Bolzano, continua a coltivare il sogno dell'indipendenza. Nel 2013 i militanti del partito autonomista hanno indetto un referendum per l’indipendenza, raccogliendo il consenso del 92,7 %, dei votanti, circa 61mila persone. Qui persino i cartelli stradali sono scritti in tedesco.
  • Valle d'Aosta: questa regione italiana è abitata in prevalenza da popolazioni waser e franco-provenzali, e vanta una lunga tradizione autonomista. Anche in questo caso, però, il governo centrale di Roma fece delle concessioni, che si concretizzarono nel 1948 con il riconoscimento della natura a statuto speciale del territorio amministrativo.
  • Sicilia: ci trasferiamo nel profondo Sud, dove anche la Sicilia ha una lunga storia di movimenti indipendentisti alle spalle, che affonda le radici addirittura al tempo dei cosiddetti Vespri Siciliani, nel 1282, e che è continuata dopo con i viceré. La loro aspirazione alla secessione si basa sull'assunto che la regione rappresenta una nazione a sé stante, con una propria lingua e cultura e che pertanto dovrebbe avere anche un proprio governo. Alla fine della Seconda guerra, l'EVIS (Esercito volontario per l'indipendenza della Sicilia) e il MIS (Movimento Indipendentista Siciliano) hanno rappresentato – l'uno con le armi, l'altro con la politica – le istanze secessioniste siciliane, indebolite poi dal riconoscimento alla Regione siciliano dello statuto speciale.
  • Sardegna: anche l'altra isola italiana rivendica il proprio diritto all'autonomia, dotata di una propria lingua e di una propria cultura e lontana anche fisicamente dal governo centrale italiano. Non è un caso che alcuni indipendentisti sardi abbiano raggiunto Barcellona nel giorno del referendum per dimostrare ai catalani vicinanza e solidarietà. Dal 2013 è il Partito dei Sardi che si batte per la separazione dell'isola dall'Italia. Anche in questo caso, è la storia a parlare: la Sardegna è stata per ben quattro secoli sotto la dominazione spagnola, conservando tuttora delle tradizioni e delle parole che si rifanno a quella cultura. Ad oggi il 40% degli abitanti, secondo un sondaggio fatto dalle università di Sassari e di Edimburgo, vorrebbe che l'isola diventasse indipendente.
  • Lombardia e Veneto: un caso a parte è rappresentato da Lombardia e Veneto, dove molto forte è la presenza della Lega Nord, partito che dall'inizio degli anni Novanta si fa portavoce delle pulsioni autonomiste dell'Italia settentrionale. Proprio qui si svolgerà il referendum per l'autonomia il prossimo 22 ottobre. Bisogna tuttavia ricordare che il voto in questo caso ha un valore esclusivamente consultivo e rimanderebbe comunque ad altre sedi politiche l’eventuale discussione sui limiti da porre allo statuto speciale – e non alla secessione – dei territori interessati.
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