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La morte di George Floyd in Usa

Secondo il procuratore George Floyd è morto perché “il cuore dell’agente Chauvin era troppo piccolo”

Nel giorno delle arringhe finali del processo per il caso del 46enne afroamericano, il procuratore Jerry Blackwell ha negato che i problemi di salute di George Floyd possano aver avuto un ruolo determinante nella sua morte. La difesa: “Chauvin ha agito come avrebbe fatto qualsiasi agente ragionevole”. Ora i giurati dovranno decidere se l’ex agente è colpevole.
A cura di Biagio Chiariello
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George Floyd è morto non perché avesse problemi cardiaci o per altri problemi di salute di fondo, ma perché "il cuore dell'ex agente di Minneapolis Derek Chauvin era troppo piccolo". Lo ha detto il procuratore Jerry Blackwell nel giorno delle arringhe finali di accusa e difesa per il processo del 46enne afroamericano che lo scorso 25 maggio è rimasto ucciso durante un fermo di polizia, con l'imputato che lo ha immobilizzato a terra facendo pressione col ginocchio sulla nuca fino a quando l’uomo ha smesso di respirare.

La difesa di Derek Chauvin

Prima ancora del rappresentante dell'accusa, ha parlato l'avvocato Eric Nelson, difensore di Chauvin, ha detto ai giurati che le informazioni che il su assistito aveva al momento in cui ha trattenuto Floyd avrebbero spinto qualsiasi altro poliziotto "ragionevole" a intraprendere le stesse azioni, sostenendo che non ha senso sostenere che altri fattori come l'uso di droghe e la situazione cardiaca non abbiano avuto "alcun ruolo" nella morte di Floyd. "Lo Stato non è riuscito a dimostrare le sue accuse oltre ogni ragionevole dubbio – ha detto Nelson – Pertanto, il signor Chauvin dovrebbe essere ritenuto non colpevole di tutte le accuse".

Le parole dell'accusa

Nella replica il procuratore ha invece affermato che Nelson abbia interpretato male la legge. "Quando parla di causalità, parla di fentanil, insufficienza cardiaca, ipertensione, dice che dobbiamo dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che nessuno di questi altri fattori ha avuto un ruolo", ha detto Blackwell. Invece, "quello che dobbiamo dimostrare è che le azioni dell'imputato sono state un fattore causale sostanziale nella sua morte. Non deve essere l'unico fattore causale. Non deve essere il più grande fattore sostanziale. Deve solo essere uno dei fattori", ha detto l'accusa. "Non ci sono scuse per gli abusi della polizia", ha rimarcato a più riprese il procuratore. "Hanno detto che i paramedici hanno impiegato più tempo del previsto ad arrivare. Sarebbero dovuti essere lì entro tre minuti. E il buon senso vi dirà che il semplice fatto che i paramedici abbiano impiegato più tempo di quanto il signor Chauvin possa aver pensato, non era un motivo per usare forza eccessiva o per essere indifferenti al fatto che qualcuno non respira più e non ha polso".

"E' stato detto, ad esempio, che il signor Floyd è morto perché il suo cuore era troppo grande. Avete sentito quella testimonianza – ha sottolineato concludendo la sua replica -. E ora dopo aver visto tutte le prove e aver ascoltato le prove, sapete la verità, e la verità è che il motivo per cui George Floyd è morto è perché il cuore del signor Chauvin era troppo piccolo".

Il processo per la morte di George Floyd

Il processo per la morte di George Floyd è cominciato lo scorso 29 marzo scorso. Nel corso delle udienze è stato ha mostrato in aula il filmato di quei drammatici 9 minuti che lo scorso anno hanno fatto il giro del mondo generando il ‘Black Lives Matter', il movimento di protesta contro la violenza della polizia e il razzismo sistemico. La difesa ha invece cercato con alcuni esperti di contestare il risultato dell’autopsia dei medici legali, che hanno stabilito che la vittima fosse deceduta per asfissia, provocata dalla pressione sul collo, affermando che un ruolo determinante lo avrebbero avuto i problemi di droga del 46enne afroamericano. La scorsa settimana Chauvin si è appellato al quinto emendamento, che protegge gli imputati dalla possibilità di auto incriminarsi, per non testimoniare. La giuria ora dovrà riunirsi in camera di consiglio e restare isolata fino a quando non avrà raggiunto il verdetto.

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