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50 anni di carcere per Videla, il dittatore che rubò i bambini ai desaparecidos

Si è concluso, con la massima condanna possibile, il processo in Argentina all’ex dittatore Jorge Videla, coinvolto nel sequestro sistematico dei figli dei desaparecidos insieme ad altri membri militari. Bambini che nascevano in carcere e subito diventavano proprietà dello Stato.
A cura di Susanna Picone
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Si è concluso, con la massima condanna possibile, il processo in Argentina all’ex dittatore Jorge Videla, coinvolto nel sequestro sistematico dei figli dei desaparecidos insieme ad altri membri militari. Bambini che nascevano in carcere e subito diventavano proprietà dello Stato.

Jorge Rafael Videla, l’ex dittatore argentino oggi 87enne, è stato condannato dal tribunale federale di Buenos Aires alla pena di 50 anni di reclusione, il massimo di quanto gli potevano infliggere, per il sequestro dei figli dei cosiddetti desaparecidos avvenuto negli anni della dittatura argentina (1976-1983). Insieme a Videla anche altri dittatori hanno ricevuto delle condanne: 15 anni di reclusione per l’ultimo presidente Reynaldo Bignone, oltre ad altri membri della giunta militare. Con questa dura sentenza, subito definita “storica” dagli stessi parenti delle vittime, il presidente del tribunale, Marìa del Carmen Roqueta, ha riconosciuto la battaglia delle “Abuelas de Plaza de Mayo”, l’associazione delle nonne dei bambini sequestrati ai desaparecidos che, con le loro indagini, hanno portato all’identificazione di 105 persone su un totale di circa 500 bambini stimati tra i rapiti. L’importante sentenza mette così fine ad un lungo processo iniziato nel febbraio del 2011 e che ha coinvolto 11 imputati, solo due di questi sono stati assolti dai loro crimini. Jorge Videla è stato ritenuto responsabile del rapimento di 20 bambini: i suoi reati sono stati definiti il frutto di un “piano sistematico” e non “casi isolati” come in passato aveva ammesso egli stesso.

Videla e i crimini compiuti durante la sua dittatura – Videla, già condannato all’ergastolo perché colpevole di aver fatto fucilare 31 detenuti politici, è detenuto nella prigione militare di Campo de Mayo, alla periferia della capitale dell’Argentina. Era il 24 marzo del 1976 quando sospese la Costituzione e assunse la presidenza del Paese formando una Giunta militare. Il presidente Isabel de Peròn, moglie dell’ex presidente argentino Juan Domingo Peròn, fu deposta e arrestata dall’esercito. Da qual momento in poi, per gli anni della sua dittatura, in Argentina si è assistito a un feroce programma di repressione di tutti gli oppositori: i numeri dicono che più di duemila persone morirono e oltre trentamila scomparvero nel nulla. Per la prima volta lo scorso aprile Videla ha ammesso che durante la sua dittatura furono uccise “sette-ottomila persone” – “persone pericolose per il paese” dal suo punto di vista – dicendo anche che i loro corpi erano stati fatti sparire per evitare proteste nel paese e da parte della comunità internazionale. Per l’ex dittatore “non c’era altra soluzione”, era quello il prezzo da pagare per vincere la guerra contro la sovversione, decisioni che dovevano rimanere nascoste perché la società non doveva accorgersene. Quelli erano i desaparecidos.

Estela de Carlotto (L), president of the

I desaparecidos e i loro figli rubati – Le “persone fatte scomparire”, desaparecidos appunto, furono coloro che dunque vennero arrestati per motivi politici, per lo più si trattava di giovani e giovanissimi militanti di sinistra spinti dalla volontà di ribellarsi al regime che si era instaurato dopo la caduta di Peròn. Gli arresti solitamente avvenivano di notte, in un clima di terrore che spingeva le famiglie delle stesse vittime a tacere. Una volta arrestati i desaparecidos venivano rinchiusi in luoghi segreti di detenzione senza ricevere alcun processo, spesso venivano torturati, solo in alcuni casi venivano rilasciati. Tra questi c’erano le donne, quelle incinte al momento dell’arresto o quelle che restavano tali in seguito alle violenze subite nei centri di detenzione: molte partorivano nelle carceri, alcune venivano torturate e uccise, sempre i loro bambini venivano rapiti e affidati a famiglie di militari che ne cambiavano l’identità. Bambini che non avrebbero mai conosciuto le loro madri ma che sarebbero cresciuti con altre persone totalmente estranee, spesso mandanti dell’assassinio delle loro mamme. Quei bambini diventavano così automaticamente proprietà dello Stato. Se il processo che ora si è concluso è stato possibile bisogna dire grazie soprattutto a quelle nonne, quelle madri dei desaparecidos che da anni lottano per ricongiungere i bambini rapiti alle loro famiglie legittime. Per alcuni, circa un centinaio di loro, l'incubo è finito dopo anni, quando finalmente sono arrivati a conoscere le loro origini.

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