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Emil Cioran: moriva 23 anni fa il filosofo che ci ha spiegato “l’inconveniente di essere nati”

Il 20 giugno 1995 muore Emil Cioran: filosofo, scrittore e soprattutto uomo profondamente controverso, la sua voce ha attraversato il Novecento parlando direttamente al cuore e alla mente dei suoi lettori. Amava definirsi “fratello” di Leopardi, profondamente convinto dell’inconvenienza dell’essere nato.
A cura di Federica D'Alfonso
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Crudele e speranzoso come quel disinganno a cui aveva affidato tutta la responsabilità del suo pensiero, affannato e lucido come quella vita che tanto aveva odiato, un ateo credente del vero principio dell’essere che è il nulla: se esiste un modo per comprendere appieno la vita e le opere di Emil Cioran è quello di pensarlo eternamente impegnato a distruggere il suo stesso pensiero corrosivo. Intellettuale controverso sia nel rapporto con la Storia che con se stesso, Cioran è stato uno dei cantori più lucidi e cinici del suo tempo e ancora oggi, a distanza di 23 anni dalla scomparsa, immergersi nelle sue opere è impresa ardua e niente affatto scontata.

Emil Cioran muore a Parigi il 20 giugno del 1995, non molto distante dai Giardini del Lussemburgo dove amava tanto passeggiare, forse troppo lontano da quel paradiso terrestre che era stata in gioventù la Romania, “isolata da tutto e circondata da schiavi”. Una vita, la sua, che era stata tentazione irrinunciabile e testimonianza più concreta di quell'inconveniente che è l’essere nati:

Non mi perdono di essere nato. È come se, insinuandomi in questo mondo, avessi profanato un mistero, tradito un qualche impegno solenne, commesso una colpa di inaudita gravità. Mi capita però di essere meno perentorio: nascere mi appare allora una calamità che sarei inconsolabile di non aver conosciuto.

Cioran amava definirsi “fratello d’elezione” di Giacomo Leopardi, e sopra ogni cosa risolutamente “anti-Sartre”: quello che a prima vista potrebbe sembrare solo un esistenzialismo rivestito di nero pessimismo è infatti in realtà un pensiero molto più complesso, fatto di luci e ombre continuamente confuse fra loro. Ironia e paradosso accompagnano le pagine di opere come “Confessioni e anatemi” o “La tentazione di esistere”, in cui la vita è appunto talvolta una tentazione altre una condanna:

Mi piacerebbe essere libero, perdutamente libero. Libero come un nato morto.

Un inno alla vita che passa attraverso la morte, quello di Cioran: la bellezza delle sue pagine è racchiusa nella forza primordiale delle parole non di un filosofo, ma di un uomo. Un uomo che trova nella scrittura e nella filosofia una terapia alle lunghe notti insonni che lo portano anche a tentare il suicidio, che lo immobilizzano nell’attesa del prossimo ticchettio dell’orologio e rendono ogni respiro l’eco di quell’esistenza sopportata e non voluta, ma cercata.

L'insonnia è una vertiginosa lucidità che riuscirebbe a trasformare il Paradiso stesso in un luogo di tortura. Qualsiasi cosa è preferibile a questa allerta permanente, a questa criminale assenza di oblio. È durante quelle notti infernali che ho capito la futilità della filosofia. Le ore di veglia sono, in sostanza, un'interminabile ripulsa del pensiero attraverso il pensiero, è la coscienza esasperata da se stessa, una dichiarazione di guerra, un infernale ultimatum della mente a se medesima. Camminare vi impedisce di lambiccarvi con interrogativi senza risposta, mentre a letto si rimugina l'insolubile fino alla vertigine.

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