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Egitto, un governo tecnico per future elezioni ad alta tensione

Il sedicente ritorno alla normalità segue percorsi dettati ancora una volta dalle caste di militari e giudici. Sulle elezioni politiche, rimandate dalla scorsa primavera, pesa la spaccatura d’un Paese posto sotto tutela.
A cura di Enrico Campofreda
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Il primo presidente eletto – ormai ex – della repubblica d’Egitto prigioniero in patria; fermi e divieto di espatrio per Mohamed Badie, guida spirituale della Fratellanza, e per il suo vice, l’imprenditore Al Shater, oltre ché per El Katatni, leader di Libertà e Giustizia, finora primo partito del Paese. Ma anche per note personalità islamiste: il leader salafita Abu Ismail e Tareq El-Zomor di Al-Gamaa Al-Islamyia. Il golpe sostenuto a furor di popolo, da un pezzo del popolo egiziano, conduce a giurare come presidente provvisorio il magistrato Adly Mansour, presidente della Corte Costituzionale. Mansour attiva pedissequamente l’agenda dettata dal Capo delle Forze Armate, generale Al Sisi, che è stato imbeccato dalla Casa Bianca per quanto da Washington s’affannino a negare. La linea di Obama nella crisi anti islamista è consistita in un rapido smarcamento da Mursi nonostante il sostegno finora riservatogli. Posizione più che diplomatica opportunista, non diversa da quella tenuta nel gennaio 2011 con Mubarak. All’inizio di quell’anno il primo cittadino d’America salutava e sosteneva l’anziano raìs, nei primi giorni dei tumulti silenzio tombale quindi imbarazzo e mezze frasi di Hillary Clinton fino al voltafaccia contro il trentennale amico di “Rendition”.

 A conferma di chi decida e cosa Mansour presterà la sua competenza giuridica per accondiscendere al disegno del generale Al Sisi che punta a un governo di transizione formato da civili e a rapide consultazioni politiche. Su suo ordine da due giorni risultano imbavagliati i media televisivi vicini alla Brotherhood, non il sito web che continua a pubblicare notizie su attacchi alle proprie sedi, l’ultima ieri sera nel governatorato di Kafr El-Shelik con 190 fratelli feriti. Il segretario generale del Partito Libertà e Giustizia Al-Beltagy, raggiunto da un’emittente tv ha dichiarato: “L’Egitto ha subìto un golpe e vede la fine della sua prima esperienza democratica, è un duro attacco al primo presidente eletto direttamente dalla popolazione. Un colpo di Stato non è accettabile in nessuna circostanza e questo si rivolge contro la stessa Costituzione. Finora s’è parlato di 300 arresti, noi temiamo possano diventare migliaia. La mossa dei militari non cerca la conciliazione che dichiara, vuole ampliare le divisioni. L’abbiamo visto nei recenti scontri che puntavano al massacro e in qualche caso l’hanno raggiunto”. Di contro i militari hanno assicurato che “non verranno assunte posizioni arbitrarie contro politici di ogni tendenza”.

Occorrerà vedere se alle consultazioni di cui si parla non diventeranno balletti ad esclusione come accadde per le presidenziali del 2012 quando il Comitato elettorale scelse, molto soggettivamente, chi poteva concorrere. Per alcuni personaggi carismatici come gli attuali fermati Al-Shater e Ismail scattò la pretestuosa squalifica per la corsa alla presidenza. Ora che il variegato fronte laico s’è compattato e col golpe bianco trova la tutela delle Forze armate, l’Islam politico teme possibili impedimenti alla corsa elettorale. Forse un ritorno all’ostracismo subìto per decenni non sarà possibile, ma l’obiettivo d’un ridimensionamento del grande successo di due anni or sono con cui FJP e Al Nour s’accaparrarono il 75% dei consensi sarebbe un ghiotto traguardo per i laici. Nel 2011-2012 Blocco Egiziano, liberali, sinistra unita si divisero la percentuale restante col partito del magnate delle comunicazioni, il copto Sawiris poi ritiratosi dalla politica attiva, a fare da polo aggregatore col 18%. Prima di lanciare la campagna Tamarod, in probabile accordo col generale Al Sisi viste le conseguenze, il Fronte di Salvezza Nazionale ha riunito le nuove componenti del Partito Costituzionale di ElBaradei e della Corrente Popolare di Sabbahi, oscillanti fra il boicottaggio e la partecipazione alle politiche di primavera poi rimandate.

Anche gli islamici erano in fibrillazione. Il partito Libertà e Giustizia sentiva il fiato sul collo di Al Nour, dato dai sondaggi in espansione nelle zone rurali e nell’Egitto del profondo sud. I salafiti cercano di raccogliere a proprio vantaggio lo scontento delle masse musulmane verso i poco pragmatici Qandil e Mursi. Ma nello scorso febbraio subivano anch’essi dei terremoti: figure storiche e carismatiche come Al Ghaffar e Ismail uscivano dal partito originando proprie formazioni. Alcuni sostennero fosse una tattica per ampliare ancor più i consensi del fronte salafita. Mentre i fondamentalisti di Al Gamaa trovavano un accordo con la Confraternita per aggirare la percentuale di sbarramento con cui rischiavano di vedere fuori gioco i propri candidati. Le elezioni però slittavano mese dopo mese. Ora se si terranno tutto si rimescola.

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