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Dodicenne morì durante intervento al femore: specializzanda capì il problema ma fu zittita

Elisiana Lovero, giovane anestesista al quinto anno di specializzazione, intuì che cosa stava accadendo alla giovane Zaray Coratella a Bari e chiese il farmaco salvavita: “Mi dissero che non c’era, il termometro che mi diedero era rotto. Poi mi allontanarono”.
A cura di Susanna Picone
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A settembre dello scorso anno all’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari una ragazzina di dodici anni, Zaray Coratella, è morta nella sala operatoria dove era entrata per un intervento di riduzione di una frattura al femore. Sul decesso della giovane la Procura di Bari ha aperto un'indagine per omicidio colposo. Da quanto ricostruito, la dodicenne non si sarebbe più svegliata dopo l’intervento a causa di una ipertermia maligna, ovvero una febbre molto alta di origine genetica scatenata dall’anestesia. Ma a quanto pare in sala operatoria, quel giorno, qualcuno aveva capito quello che stava accadendo e forse, se questa persona fosse stata ascoltata, Zaray poteva salvarsi. Si tratta di una giovane anestesista al quinto anno di specializzazione, Elisiana Lovero, che a quanto racconta lei stessa sarebbe stata addirittura allontanata dalla sala operatoria. La sua testimonianza è raccolta in una relazione della commissione di inchiesta sulla morte della dodicenne di cui oggi scrive Il Corriere della Sera.

“Ho ipotizzato in maniera esplicita che potesse trattarsi di ipertermia maligna – ha raccontato la specializzanda – Ho toccato la fronte della paziente che sembrava calda”. A quel punto avrebbe chiesto un termometro e il dantrolene, farmaco salvavita in questi casi: “Mi è stato risposto che il dantrolene non c'era. Mi sono spostata con il caposala nella stanza dei farmaci vicina dove mi mostrava quello che diceva e mi disse che da quando le precedenti confezioni erano scadute le scorte non erano state ripristinate”. Il termometro invece non funzionava. La specializzanda ha spiegato di aver riferito in sala operatoria dell’ipotesi di ipertermia maligna, ma “alle rimostranze degli ortopedici per le continue interruzioni”, “mi viene detto di uscire dalla sala esonerandomi dalla mia attività”. In quel momento si pensa a un’embolia polmonare e solo dopo, in terapia intensiva, tutti concorderanno con l’ipotesi iniziale di Lovero.

Oltre a questo, c’è la questione del farmaco: “Sembrerebbe emergere — scrivono i commissari — che il dantrolene consegnato all’unità operativa anestesia/sala operatoria il 4 giugno 2015 sarebbe scaduto nel giugno 2017”. L’intervento su Zaray è del 19 settembre quindi il farmaco se c’era era scaduto. Ci sarebbe però un’anestesista che afferma di averlo somministrato nel tragitto tra la sala operatoria e la terapia intensiva eppure dalla cartella clinica risulta che la prima somministrazione di dantrolene sia stata fatta solo in terapia intensiva, quando per Zaray era probabilmente già troppo tardi.

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