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Diffamazione a mezzo stampa: stop al carcere, via libera a sanzioni fino a 50mila euro

Approvato con 170 voti favorevoli il ddl sulla diffamazione a mezzo stampa: la pena detentiva è stata sostituita con una sanzione pecuniaria da 10 a 50mila euro.
A cura di Davide Falcioni
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Co 170 voti favorevoli, 10 contrari e 47 astenuti questa mattina il Senato ha dato il via libera al Ddl sulla diffamazione. Il testo, modificato con un emendamento del Movimento 5 Stelle che estende le multe anche alle testate online, dovrà ora tornare alla Camera dei Deputati. La novità più significativa è quella inerente lo stop al carcere per chi diffama a mezzo stampa: la pena detentiva è stata sostituita con una sanzione pecuniaria fino a 10 mila euro ma se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto che poi si rivela falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità, la sanzione può arrivare sino a 50mila euro. La rettifica, se conforme a quanto prevede il testo, sarà valutata dal giudice come causa di non punibilità sia per il direttore responsabile sia per l’autore dell’offesa. Nei casi di recidiva reiterata è prevista l'interdizione dalla professione da uno a sei mesi.

Il Ddl prevede la pubblicazione obbligatoria gratuita da parte del direttore o del responsabile della testata di una rettifica che non rechi risposte, commenti e titolo: l'obbligo di rettifica è valido non solo per agenzie stampa, periodici e quotidiani ma anche per le testate giornalistiche online, che dovranno inviare la rettifica ai lettori che hanno avuto accesso alla notizia di riferimento. La rettifica non va pubblicata se ha contenuto suscettibile di incriminazione penale o se è documentalmente falsa.

Tra gli emendamenti approvati ieri ce n'è anche uno, a firma di Felice Casson, contro le cosiddette "querele temerarie": l'emendamento prevede che il giudice possa condannare al pagamento di una somma (non specificata) chi ha agito in malafede o con colpa grave; ugualmente, il giudice può condannare a un risarcimento anche il querelante, se risulta la “temerarietà” della querela.

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