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Opinioni

Dichiarazione sulla razza, 6 ottobre 1938: ora provate a sostituire la parola “ebreo” con “immigrato”

Gli “indesiderabili” hanno sempre la stessa espressione, le biciclette ammaccate, la schiena ammaccata, le magliette al posto delle giacche, la ceretta non recente, qualche polvere sotto le unghie. La voce dei familiari lontana. Una valigia. Il senso di un’ingiustizia che non riescono a spiegare, e a cui molti si piegano. Come succedeva ieri ad Auschwitz o al campo di Fossoli, in Emilia Romagna. Oggi contro gli immigrati, o i rom.
A cura di Saverio Tommasi
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Si dà sempre troppa importanza ai documenti, ai timbri, ai passaporti, alle rughe, ai soldi, alla prima classe e se vai a Messa la domenica mattina. Ma facciamo un passo indietro. Il 6 ottobre del 1938, il Gran Consiglio del Fascismo votava la Dichiarazione sulla razza. Sembra oggi, con altre parole, anche se in realtà era ieri. Nel documento, per esempio, si legge:

"Il problema ebraico non è che l'aspetto metropolitano di un problema di carattere generale (…). Il Gran Consiglio del Fascismo ritiene che la legge concernente il divieto d'ingresso agli ebrei stranieri non poteva più essere ritardata e che l'espulsione degli indesiderabili, è indispensabile".

Dal 1938 ad oggi è cambiata la nazionalità degli indesiderabili, i nomi di quelli che li ritengono indesiderabili, e i nomi dei governi che agiscono con leggi che hanno solo nomi diversi ma obiettivi comuni. Non sono cambiate, invece, le scuse con le quali le leggi agiscono.

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Ora vi propongo un gioco. Provate a sostituire alla parola "ebreo", ogni volta che compare nella Dichiarazione sulla razza del Gran Consiglio del Fascismo, la parola "clandestino", oppure "rom", o anche la parola "immigrato". Il risultato sono frasi che oggi i protagonisti della politica urlano in tv, in piazza, in Parlamento. Frasi identiche a quelle del Gran Consiglio del Fascismo. Né più, né meno. Il gioco può essere fatto anche al contrario, mettendo la parola "ebreo" al posto di "rom" o "immigrato". Ad esempio:

"Sgomberate i campi rom" è una frase ricorrente, oggi. "Sgomberate il ghetto ebraico", invece, farebbe sussultare anche i meno democratici. Ma la differenza fra ieri e oggi io non la vedo neanche cercandola con il lanternino in una serata da sobrio. Perché sessant’anni di cultura ci hanno (giustamente) vaccinato contro la discriminazione verso il popolo ebreo in quanto ebreo. Rimane però da compiere il vaccino culturale contro quel pensiero, anche se espresso con altre parole.

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"Rimandiamo gli immigrati a casa loro a calci nel culo" lo dicono politici eletti. E, con parole solo leggermente più edulcorate, questa frase fa parte di precisi programmi elettorali. Invece la frase "rimandiamo gli ebrei a casa loro a calci nel culo", suonerebbe "troppo" per quasi tutti. E quasi tutti inizierebbero a chiedersi "qual è casa loro", oggi, se non questa dove vivono. L'Italia. Se invece scrivi "immigrati" allora tutto ok. Al massimo uno sparuto "eh, ma io non sono razzista, sono loro che sono troppi".

Nel 1938 io non avrei potuto scrivere questo articolo. Fanpage.it non l'avrebbe potuto pubblicare. Questo è oggettivamente un passo avanti. Ma per i poveri cristi, è cambiato poco. Abbiamo la libertà del racconto, oggi, ma il nostro racconto sembra non influire nelle loro vite, se non molto parzialmente, talvolta per casi unici. Ieri veniva colpita la razza ebraica, gli zingaracci, i matti, i non conformi. Oggi vengono colpite le persone per censo, mascherandolo da provenienza geografica. Infatti, se arriva un americano ricco, non è più extracomunitario. Perché prima di essere extra-comunitario è prima di tutto bene-stante.

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Gli "indesiderabili" hanno sempre la stessa faccia. Non sono cambiati. La stessa espressione, le biciclette ammaccate, la schiena ammaccata, le magliette al posto delle giacche, la ceretta non recente, qualche polvere sotto le unghie. La voce dei familiari lontana. Una valigia. Il senso di un'ingiustizia che non riescono a spiegare, e a cui molti si piegano. Come succedeva ieri ad Auschwitz o al campo di Fossoli, in Emilia Romagna.

Si dà sempre troppa importanza ai documenti, ai timbri, ai passaporti, alle rughe, ai soldi, alla prima classe e se vai a messa la domenica mattina. Sarebbe ora di fare un passo avanti. Dovremmo dare più importanza alle persone, ai volti, ai sorrisi, ai viaggi e agli abbracci fuori dalle rispettive chiese.
Perché oggi i fascisti con il duce tatuato mi fanno ribrezzo, ma anche parecchia compassione; invece mi fanno paura quelli che professano certe idee di esclusione e il duce sul braccio non ce l'hanno. E ti dicono pure: "Chi, io fascista?" ma poi sbuffano se sul treno regionale si trovano accanto qualcuno con la pelle scura, e magari gli rubano una foto con il cellulare per pubblicarla sul proprio profilo Facebook con un commento contro le "risorse boldriniane" e magari una frase del tipo: "Mai allo Ius soli". Che per l'appunto ha la stessa costruzione mentale di "è di razza ebraica colui che nasce da genitori entrambi ebrei", contenuto nella Dichiarazione sulla Razza del 6 ottobre 1938.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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