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“Deep Dream” l’installazione al Macro Testaccio dove lo spazio e il tempo non esistono

È in corso la settima edizione di Digitalife a La Pelanda – Macro Testaccio. NONE è l’unico collettivo italiano presente alla mostra con l’installazione “Deep Dream”.
A cura di Silvia Buffo
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Deep Dream, l'installazione del colletivo None al Digitalife. Foto di Cristina Vatielli
Deep Dream, l'installazione del colletivo None al Digitalife. Foto di Cristina Vatielli

In occasione della VII edizione di Digitalife, il collettivo artistico NONE, unica presenza italiana dell’esposizione dedicata alla digital-art, presenta in prima nazionale l’installazione multimediale Deep Dream_Act II, che sarà fruibile fino al 27 novembre presso La Pelanda – Macro Testaccio nell’ambito della XXXI edizione del Romaeuropa Festival. Come spiega Richard Castelli, Curatore Digitalife 2016: "La delicata missione che s’è dato il collettivo con base romana NONE è di praticare una devirtualizzazione sull’espressione più triviale dell’immagine elettronica, questo grande collettore e sfortunatamente ridistributore di voyerismo e di futilità che rappresenta il web”.

L'arte si mischia con la tecnologia

NONE è un collettivo artistico con base a Roma che si muove al confine tra arte, design e ricerca tecnologica fondato da Gregorio De Luca Comandini, Mauro Pace, Saverio Villirillo. Alla base della loro attività opere artistiche, installazioni interattive, architetture innovative, dispositivi digitali, ambienti immersivi per exhibit, mostre, musei ed eventi. Il collettivo si prefigge di costruire esperienze che indagano la dimensione umana, macchine che esplorano lo spazio fisico, l’andamento degli eventi e l'inconscio.

Deep dream, l'automatismo astratto della creatività

L’opera porta il nome di un algoritmo matematico scoperto involontariamente da Google che procede per associazioni visive catturando immagini e video dal database ‘Google’, una rete neurale che interpreta la realtà attraverso un immaginario condiviso in costante evoluzione. Prendendo spunto dal concetto di intelligenza artificiale NONE si è occupato dell’interazione uomo-macchina. Nel caso dell’algoritmo di Google, Deep Dream appunto, la macchina prova a riprodurre una sorta di creatività autonoma. Il suo resoconto, che funziona per associazioni di immagini, non è altro che il frutto di quell’immaginario condiviso che è il web.

Deep dream, l'installazione. Foto di Cristina Vatielli
Deep dream, l'installazione. Foto di Cristina Vatielli

"Ci interessa portare il fruitore in una dimensione dove lo spazio e il tempo non esistono"

Lo spettatore viaggerà in un flusso continuo di dati all’interno di un ‘ipercubo’ n-dimensionale composto da 150 metri quadrati di specchi in cui perderà ogni riferimento spazio-temporale. Il bombardamento visivo e sonoro che il sistema genera all’interno dell’ ‘ipercubo’ è il riflesso della nostra attività virtuale. Deep Dream_Act II è infatti il secondo atto di una ricerca, il cui obiettivo è porre l’essere umano all’interno dello streaming dati che egli stesso produce, condivide e subisce.

A prendere forma è il Cyberspazio, una dimensione concettuale

Al centro di Deep Dream Act II il concetto di cyberspazio, dando utopicamente vita a questo spazio concettuale:

Il cyberspazio è il dominio caratterizzato dall'uso dell'elettronica e dello spettro elettromagnetico per immagazzinare, modificare e scambiare informazioni attraverso le reti informatiche e le loro infrastrutture fisiche. È visto come la dimensione immateriale che mette in comunicazione i computer di tutto il mondo in un'unica rete che permette agli utenti di interagire tra loro, ossia come lo «"spazio concettuale" dove le persone interagiscono usando tecnologie per la comunicazione mediata dal computer».

L'ipercubo, lo spazio della virtualità

I dati che viaggiano attraverso l’‘ipercubo’ sono immagini, video e gif che vengono raccolti in un database in fieri condiviso su Facebook: DeepDream_Open Archive. A tale scopo NONE ha creato un gruppo pubblico per avviare un’indagine visiva sviluppata intorno ai temi che plasmano il quotidiano voyeurismo dei social. L’interazione tra l’utente e l’opera d’arte inizia ancor prima che l’opera venga installata poiché sono gli stessi post degli utenti a generarla. Iniziando il viaggio in questo flusso di coscienza collettiva lo spettatore è invitato a entrare nel proprio profilo Facebook da mobile, consentendo agli artisti di accedere alle proprie immagini profilo solamente per il tempo dell’esperienza.

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